Uccelli-Fantasma
E
la città entra in un altro maggio indolente e ribollente. I genitori
fanno smorfie mentre spingono i loro figli attraverso il Museum of
Westward Expansion, e le chiatte gemono nel Mississippi. La fabbrica
della Dowling Industrial ha eruttato qualcosa, e i gas rendono i
nostri tramonti di un arancione tra il prugna e il plutonio.
Lavoro
dalle undici di sera alle sei del mattino. Il parco è deserto, e io
continuo a osservarlo da una piccola finestra in un muro di acciaio a
630 piedi di altezza dal suolo. Novanta acri di erba e alberi di
sotto, ponti sul fiume verso est, e le luci di St. Louis a ovest.
Perlustro la zona, coperto da un cielo purpureo (non si possono
vedere le stelle questo mese), e dopo aver ispezionato le terre con
il mio binocolo ufficiale del National Park Service schizzo fuori
dalla mia finestra e scivolo sull’apice dell'arco di St. Louis.
Uso
un Perigee II, una sacca per paracadute singolo, con chiusura a
velcro, prodotto dalla Consolidated Rigging. Contiene una vela Ace
rettangolare di 240 piedi, e la mia attrezzatura è nera: casco,
ginocchiere e gomitiere, sciarpa per naso e bocca. I miei occhiali
protettivi, tuttavia, sono blu, lenti di quarta generazione per la
visuale notturna. L'arco, fatto di acciaio proveniente da Pittsburgh,
è chiamato Gateway
to the West,
La Porta per l'Ovest e, quando la mia gamba penzola dalla finestra e
i venti forti si infrangono sul mio viso, posso osservare la foresta
scura in basso, o voltarmi verso una finestra lontana, oltre la quale
St. Louis arde sotto le sue ceneri. In quel momento, sento che potrei
sormontare le dormienti intersezioni dei sogni dell’intera nazione.
Gichin Funakoshi dice che tutta la verità è contenuta nei sogni.
Il
vento esplode con così tanta forza e rumore che potrei essere
disintegrato. Tre secondi di caduta libera, più altri venti circa
per guidare la vela verso il basso. A volte, mi muovo a spirale in
discesa, come l'acqua che fluisce da un tubo di scarico.
Il
Museum of Westward Expansion, alla base dell'arco, ha le dimensioni
di un campo da football. Ho una borsa per l’equipaggiamento e
un'uniforme da ranger nell’atrio; vi entro di corsa dopo un salto,
ed esco pochi attimi dopo in veste di Ethan Landry, ranger del parco.
In quegli attimi mi affido alla calma oscurità per ricordarmi che il
parco è chiuso, e che io sono solo.
Le
scale che mi portano in cima ascendono nell'oscurità, e io le salgo
due alla volta.
Una
radio trasmette della musica, e io ne sento gli intervalli
d’interferenza nella cabina telefonica nera. Le ore strisciano
lentamente verso il mattino. Da quando non bevo più, trovo una pausa
dalla noia leggendo cose come Il
Libro dei cinque anelli; Hagakure;La
vita dei samurai; Il
Daodejing.
Mi piacciono gli scritti di Alce Nero e alcuni saggi di Emerson, ma
il pensiero orientale mi sembra molto più chiaro. La chiarezza,
penso, è la cosa principale. Trova una via e percorrila.
Cosa
che più di tutte spiega i miei salti. La definizione letterale del
BASE jumping è gettarsi col paracadute da punti stabili (edifici,
torri, ponti, o rilievi naturali), ma per me significa reprimere i
sensi e unirsi al vuoto. Il grande samurai Miyamoto Musashi dice che
è necessario perdere il sé e diventare un tutt'uno col Mu,
il vuoto al centro dell'esistenza al quale tutto ritorna. Così il
guerriero trova la vita nella morte. È più duro di come sembra, e
ci sono stato vicino solo una volta. Tre anni fa, mentre andavo in
kayak sul fiume Buffalo, Arkansas, mi ribaltai e persi
l'equipaggiamento. Andai a sbattere contro una roccia e il kayak mi
colpì, mi fratturò una caviglia, si capovolse, mise fuori
combattimento un molare, e scomparve con la corrente. Martellato
dalle onde, mentre ingoiavo acqua ed ero quasi cieco dal dolore, mi
aggrappai a una roccia, sapendo che, se fossi stato spazzato via
dalla corrente, sarei stato finito. Notai che sulla riva del fiume
uno scoiattolo mi stava osservando. Reclinò la sua testolina, come
per chiedermi cosa pensassi di voler fare, e si arrampicò su un
albero, muovendosi a spirale, dove lo persi di vista fra i rami.
Ricordo un senso di calma, staticità, e pensai: «Questa è la mia
morte. Interessante».
Quel
momento fu uno sguardo fugace al vero universo, una galattica
processione che seguitava a marciare senza di me. Quello che Dogen
chiama «le diecimila cose». La mia caviglia è guarita, ma andare
in kayak ha perso qualcosa dopo quell'esperienza, e io ho scoperto il
paracadutismo sportivo, che mi ha condotto dritto al BASE jumping. Ho
incominciato ad andare in kayak principalmente perché una delle
regole base che ti insegnano durante la disintossicazione è che se
hai intenzione di rimanere sobrio, devi mantenerti fisicamente
attivo.
Ma
se niente di tutto ciò ha molto senso, diciamo solamente che con i
turni che mi ritrovo il mio unico legame affettivo è con la gravità,
e ci prendiamo i nostri momenti di intimità ogni notte senza luna,
intorno alle tre del mattino.
E
siamo a maggio. I cieli sono tinti di ametista e verde e, come ho
detto, non è possibile vedere le stelle. Di notte le foreste
assumono una certa piattezza e sembrano allungarsi in un unico piano,
come i campi da pascolo incolti della fattoria dove sono cresciuto. I
due fari sul fondo dell'arco non sono un problema – ci cado in
mezzo. Anche se non c'è la luna stanotte, sono un po' circospetto
per via dell'illuminazione che lo strano cielo crea. Il BASE jumping,
in realtà, è illegale negli Stati Uniti. Molti jumper si lanciano
nei parchi nazionali, e i ranger dei parchi sono da sempre le loro
nemesi. L'ironia della mia vita è così ovvia che non penso nemmeno
sia ironia.
Prima
di saltare, controllo il parco con il mio binocolo: erba rada,
macchie di pini e pioppi dalle foglie larghe, sentieri di cemento che
convergono al vecchio palazzo di giustizia, a ovest. Un bagliore –
dietro un albero scorgo un fascio luminoso. Metto a fuoco e vedo
almeno due persone che si stringono nell'oscurità. Sto per
comunicarlo via radio, ma poi vedo cosa ha emesso quel bagliore:
lenti di vetro. Uno di loro sta guardando in alto verso l'arco con un
binocolo. Alle tre, questa notte mi ha portato qualcosa di nuovo; mi
sbarazzo della mia attrezzatura e divento un ranger del parco.
L'ascensore
mi porta in basso scoppiettando, e io striscio tra gli alberi e mi
accovaccio dietro dei cespugli alti. Scopro tre persone – una
ragazza e due ragazzi. Sono abbastanza giovani, e ricordo a me stesso
di andarci piano con loro. A ventott'anni posso ancora ricordarmi il
brivido dato dallo strisciare in giro di notte. Una volta avevo una
ragazza che amava esplorare luoghi proibiti. I nostri nervi fervevano
per qualsiasi cosa ci procurassimo, Mabel mi conduceva per luoghi bui
pieni di tubature fumanti e segnali di divieto di passaggio, su per
rampe di scale fino ai tetti, per finire con un bacio. Non accendo
subito la mia torcia e mi avvicino, perché posso sentire le loro
voci e voglio sapere cosa stanno dicendo.
Un
ragazzo robusto con guance paffute e occhiali sta parlando con un
ragazzo più magro con un cappellino da baseball e un impermeabile.
La
ragazza, è lei che porta il binocolo, li tira giù e interrompe i
due ragazzi: «Penso di aver visto un ranger lassù».
Dopo,
un gemito umano fa breccia nell'aria. Mi guardo attorno e vedo
l'insorgere di ombre ovunque. Oltre questo boschetto delle persone
punteggiano il parco, come minimo una dozzina. Una ragazza e un
ragazzo sono stesi sulla schiena, mentre la ragazza indica il cielo.
Un'altra coppia sta pomiciando contro un pino, e questo spiega il
gemito che ho sentito. Sono inciampato su qualche sogno di giovinezza
e lussuria. Per vaghi motivi questo mi fa arrabbiare – questi
giovani ragazzi si sono intromessi nel mio momento sacro e
necessario.
La
torcia avvampa, seguita dalla mia voce più profonda. «Che succede
qui? Il parco è chiuso». Intrappolo questi tre ragazzi nel mio
fascio di luce; tutti gli altri si danno alla fuga. Le foglie
frusciano, e il lieve riverbero dei passi corre attraverso la terra.
Il
ragazzo con l'impermeabile alza le mani, le abbassa lentamente, e fa
un passo avanti. «Uhm, ciao. Sappiamo che il parco è chiuso. Ci
scusiamo. Siamo qui per un compito assegnatoci in classe. Andiamo
tutti alla Washington University». La ragazza mi guarda superando
con lo sguardo le sue spalle.
Sono
ancora arrabbiato, e non appena il ragazzo fa un passo nel mio
cerchio di potere, pondero le varie angolature di kokyu
nage che
potrei usare per lanciare il suo corpo fra il cespugliame. «Siete
entrati abusivamente»
«Seguiamo
questo corso, Miti e Leggende dell'America Moderna, e, uhm, noi
stiamo lavorando al nostro progetto finale... ascolta...»
Ora
la ragazza prende la parola. «C'è una leggenda urbana che dice che
nelle notti senza luna qualcosa vola giù dall'arco». Non posso
distinguere le sfumature dei suoi occhi, ma sono pallidi. «Frank
pensa che sia un ragazzo con un paracadute, ma la descrizione suona
come un uccello-fantasma»
«Cosa?»
«Un
uccello-fantasma. Gli spiriti del tuono dei nativi americani.
Giganti, neri, con degli occhi brillanti. La gente li vede da secoli»
«Niente
vola giù dall'arco»
Frank
(credo) interviene, «Personalmente conosco tre persone, che non si
sono mai incontrate fra loro, che mi hanno raccontato di come abbiano
visto questa cosa volare giù dall'arco. Tutti e tre hanno descritto
qualcosa di completamente nero, con occhi luminosi. Un altro punto in
comune? Niente luna in quelle tre notti. Ho fatto delle ricerche.
Seicento piedi è un’altezza del tutto plausibile per il BASE
jumping. Non puoi stare a guardare per tutto il tempo»
«Sentite,
ragazzini. Voi avete superato la recinzione. Questo è illegale.
Siete su una proprietà del governo»
«Ci
dispiace. Davvero. È solo che... sai»
«Volevamo
vedere se fosse vero»
«Non
lo è,» dico. «Dovete abbandonare il parco.»
Si
trascinano fuori, mormorando delle scuse. La ragazza si volta e mi
guarda. Cose delicate brillano sul suo viso – gli occhi, le labbra.
Dopo, gli studenti spariscono.
Camminando
pesantemente, torno al mio ufficio con in mente i ricordi della mia
esperienza al college. Ero il primo della famiglia ad andare
all'università, e mi ricordo gli studenti, simili a quei tre ragazzi
– abbronzati, sorridenti, che camminavano nel cortile interno di
pietra tenendosi per mano, e tutti loro avevano un taglio di capelli
diverso dal mio, diversi i vestiti. Imparai che proprio non sapevo
come parlare, vestire, o persino sorridere.
Mi
ricordo di essermi sentito come un impostore quel primo anno, mentre
mi immaginavo di essere al centro di una cospirazione, ma avevo un
compagno di stanza che comprò una grande quantità di erba, e mi
mostrò come rilassarmi e lasciare che il mondo facesse il suo corso.
Un brivido mi attraversa la schiena al ricordo di quei giorni, prima
che imparassi la necessità del controllo e trovassi la mia via.
Mentre
l'ascensore mi porta in cima, la mia mente ripercorre lo sguardo con
il quale la ragazza mi ha lasciato. Miyamoto dice che il
vero bushi si
separa dal desiderio, ma tra le ombre di questa notte i suoi occhi
hanno strattonato qualcosa, che è corso giù nel mio addome, in quel
posto dove il chi è
conservato, e sono costretto a pensare a Mabel, così passo il resto
del mio turno a praticare meditazione guidata. Nella posizione del
loto, chiudo i miei occhi e mi focalizzo sul Triangolo Blu, dove io
conservo il mio Io senza Ego, cercando di non ricordare la risata di
Mabel e le fossette alla base della sua schiena, il sapore del suo
sudore, o l'acqua viola nella vasca che la copriva durante la nostra
ultima notte insieme. Le interferenze dalla cabina telefonica
sibilano, e io le reprimo.
Il
mattino è un rumoroso sciabordio di sole bianco, e io sento St.
Louis svegliarsi mentre salgo sulla funicolare. Gli uccelli si
svegliano, le chiatte si svegliano, tutto chiama qualcos'altro. Una
ragazza sta ferma alla base dell'arco in una blusa bianca senza
maniche, mentre il vento le avvolge i capelli castani attorno al
viso, e persino prima che lei se ne sbarazzi, so già chi sia.
«Il
parco non apre fino alle nove,» le dico. Lei mi guarda con i suoi
occhi di un verde sbiancato; i suoi capelli sono striati da sfumature
di arancione. «Posso aiutarla, signorina?»
«Sei
tu, vero?» dice.
«Come,
scusa?»
Il
vento continua a giocare con i suoi capelli. «Tu sei
l'uccello-fantasma, vero? Lo sai che c'è un sito web su di te?»
Il
mattino si fa più rumoroso e sembra troppo luminoso. «Cosa?» Se
continuo a mentire, quali sono le mie possibilità? Lei è molto più
bassa di me, e io considero la possibilità di utilizzare
un yonkyo per
la pressione del nervo radiale, e renderla incosciente. Ma
continuerei ad avere un problema nel momento in cui si sveglia. «Cosa
vuoi?»
«Te
lo dico in un secondo». Si guarda attorno nel parco e su verso
l'arco. «Possiamo andare a parlare da qualche altra parte?»
Una
caffetteria che profuma di burro e glassa. Indossa molti braccialetti
di corda e argento su un braccio; delle lentiggini scure le macchiano
il naso e gli zigomi. Il suo nome è Erica Gleason, e mi sta
raccontando la storia delle fenici e degli uccelli del tuono,
impegnandosi a dare una spiegazione di qualcosa che non ha ancora
detto. «Nel nostro corso uno dei miti che abbiamo studiato era come,
attraverso la storia, in ogni cultura, alcune delle cose inspiegabili
che la gente vede sono figure ornitologiche nere, enormi cose
volatili con gli occhi luminosi. Vengono chiamati in molti modi, ma
molte teorie insistono nel dire che i nomi non hanno senso»
«Erica...»
«Nel
senso, angeli, demoni, mostri, qualsiasi cosa»
«Erica».
Mi sporgo sul tavolo. «Cosa vuoi?»
Lei
perde un po' della sua boria, e io sono subito dispiaciuto per aver
interrotto quella che chiaramente è una sua passione. Sorseggia il
caffè e guarda fuori dalla finestra. La gente si affanna sotto i
semafori. I clacson si lamentano, i freni gemono. Di solito sono nel
letto a quest'ora, a prepararmi per riposare durante il giorno.
Lei
si volta verso di me. «Stavo giusto per dire che sono stata delusa
quando ho scoperto che si tratta semplicemente di te»
«Come
l’hai saputo, a proposito?»
Lei
abbassa il capo e mescola il suo caffè. «Potrei dirlo dal modo in
cui ti sei comportato... E io ho visto un ragazzo vestito
completamente di nero che mi guardava con dei cannocchiali da una
finestra nell'arco». I suoi occhi incontrano i miei con una
consolazione. «Non l'ho detto a nessuno»
«Bene.
Quindi. Cosa vuoi?»
«Okay.
Ecco la questione». Mette giù il suo cucchiaino. «Voglio che me lo
insegni»
«Insegnare
cosa?»
«Il
BASE jumping»
Cerco
di dirle che non funziona così. «Non si tratta semplicemente di
andare là fuori e fare BASE jumping. Ci vogliono anni per accumulare
la conoscenza necessaria per il primo salto. È un processo di
conoscenza continua. Ci sono delle volte in cui persino io lascio
perdere»
«Ho
fatto paracadutismo in passato»
«Quante
volte?»
«Due»
«Cristo...»
Sbaglio a descrivere i suoi capelli come castani. Sono più come il
grano bruciato, con riflessi rame e ruggine. «Questo sport non
c'entra niente col dimostrare qualcosa. È molto personale. Della
gente c'è morta. Gente molto esperta si è fatta seriamente male ed
è morta. Perché vorresti farlo?»
«Perché tu lo
fai?» domanda, e l'immagine di Mabel che fluttua senza vita sotto le
bolle di sapone alla lavanda fulmina i miei pensieri.
«Devi
prima diventare esperta di paracadutismo. E dopo, ci sono comunque
altre persone che possono insegnartelo»
«Ascolta,
non ho detto niente a nessuno, okay? Non ti ho né denunciato né
fatto nient’altro. Cioè, perché poi me ne stai parlando? Cosa
aspetti?»
Sa
che, riflettendoci su, io ho già accettato. I braccialetti di
argento tintinnano sul suo polso; le sue labbra sono sottili e
sbiadite; le sue clavicole vengono fuori come un doloroso albatros
sul suo petto. Sto pensando Triangolo
Blu, Triangolo Blu.
Nel
mio appartamento la segreteria lampeggia, mostrando numerosi
messaggi, cosa che mi rende inquieto, perché non so chi mi stesse
chiamando. Dopo dieci mesi a St. Louis, conosco un proprietario di
casa, un postino, e due ranger del parco che pensano io sia un pazzo
per fare il turno che faccio. In Hagakure,
Tsunetomo scrive che c'è una forza profonda nell'uomo solitario.
Nella
segreteria c'è la voce di mio padre. «Ethan, sono tuo padre. Non
riesco a trovare tua madre, figliolo, e sto cercando di mettermi in
contatto con te. C'è bisogno che tu porti dentro i cavalli»
Il
messaggio successivo è di un'ora dopo, la sua voce gutturale e lenta
manda fuori parole con tono nasale. «Ethan, sono tuo padre. Non
riesco a trovare tua madre, figlio mio, e sto cercando di mettermi in
contatto con te. C'è bisogno che tu porti dentro i cavalli. Sembra
che stia per piovere». Altri tre messaggi dicono grossomodo la
stessa cosa, con l'aggiunta di un suggerimento a raccogliere alcune
patate e carote, così che mia madre possa preparare la zuppa
vegetale. La nostra fattoria è stata venduta un po' di tempo fa,
dopo che mia madre è morta.
Chiamo
Green Grove e parlo con la capo-reparto di questi messaggi. Lei mi
mette in attesa, e quando torna mi spiega che ieri un'infermiera
temporanea stava lavorando nel piano di mio padre, e questo spiega
perché lui abbia potuto fare così tante chiamate. Si scusa per
l'inconveniente. Nella mia stanza mi stendo su una stuoia di bambù
al centro del pavimento e metto una maschera per il sonno sui miei
occhi per sbarazzarmi del sole che filtra dalle imposte. Quando cerco
di visualizzare una spiaggia su cui poter allineare il mio battito
cardiaco con gli intervalli delle onde, vedo invece mio padre, in una
mattina in particolare durante la mia prima estate a casa dal
college: all'alba io e mia madre lo trovammo fuori in un campo di
semplice erba avvolto solo in un lenzuolo a guardare fisso il sole.
Quella mattina la luminosità lo travolse. All'inizio pensammo che
stesse scherzando, ma negli anni successivi mi sono chiesto cosa
stesse guardando esattamente.
Così
l'oceano nella mia mente diventa una suono di cinguettii e scriccioli
all'alba nella fattoria di mio padre, e dopo Erica incomincia a
indottrinarmi con gli spiriti travestiti da uccelli mentre si
sbottona la sua blusa bianca. Incapace di dormire, quello che
desidero veramente è gettarmi da qualcosa.
Iniziamo
un corso accelerato di caduta libera. È un programma di sette passi
ideato per insegnare le regole fondamentali del paracadutismo; dopo
questo corso, lei ha venti salti per diventare una saltatrice
principiante. Ha i soldi per tutto questo. Suo padre è un avvocato
della Dowling Industrial. Iniziamo da un piccolo Cessna con motore
singolo all’interno del quale l’aria sa di alluminio e petrolio.
La nostra panchina sferraglia e si flette; il motore scoppietta.
Oltre il portellone c'è un ruggito radioso. Mentre stiamo aspettando
che ci diano il segnale, Erica guarda la sua corda di sicurezza e
dice, «Ci siamo. Geronimo»
«Non
dirlo. Tutti lo dicono»
«Tu
cosa dici?»
Ammetto
con riluttanza, «Banzai.»
Lei
annuisce e mantiene lo sguardo fermo, duro, che non tradisce nessun
timore o eccitazione o paura.
A
12 500 piedi un salto non sembra nemmeno una caduta; è più come
essere al centro di un'esplosione fredda. Si può vedere la curvatura
del pianeta, la sferica superficie che strattona giù. Guardo il suo
corpo ruzzolare, con la tuta di lancio di un rosso brillante, le
braccia arcuate sulle spalle in una forma perfetta. Si fa più
piccola e penetra nelle nuvole bianche, e io la perdo. Le mie braccia
vanno dritte ai miei fianchi e mi tuffo. A circa 140 miglia all'ora
vedo la vela del suo paracadute, un rettangolo rosso e increspato
sotto di me. Le mie guance si rigonfiano col vento.
A
terra lei non riesce a smettere di sorridere, mentre guarda in alto
per vedere quello che abbiamo attraversato. Esulta e ride e mi
propone di andare a bere qualcosa. Le dico che si tratta solo di un
afflusso di adrenalina, e che non bevo.
L'aria
di maggio è spessa e pesante, intrappolata sotto quel vapore
purpureo che sopportiamo. Di notte mi preoccupo. Mentre sorveglio i
suoli del parco, mi chiedo chi ci sia là fuori a guardarmi. Erica mi
ha detto del sito web: L'uomo uccello di St. Louis. C'è un'immagine
di un uccello nero con le zanne e occhi di fuoco, con spazi per
messaggi e testimonianze dalla gente che mi ha visto. Si può
ordinare una t-shirt.
Il
paracadutismo non ha niente a che fare con il BASE jumping. Da un
aeroplano si è troppo in alto e non si ha una vera percezione del
fondo.Mu,
il vuoto, non è così immediato; si può pure guardarlo di sfuggita,
e essere avvolti dalla gravità è più come un abbraccio che come
una violenta sottomissione. Premo le mie mani contro gli occhiali e
considero la caduta, e la vita sognante della città dormiente sembra
incredibilmente lontana mentre il mio riflesso guarda indietro nella
finestra e i fasci di luce paralleli brillano dalla base dell'arco
come una scala Zen.
Cinque
salti dopo Erica mi dice che sua madre è un'artista che dà lezioni
in casa, e che ha perso il seno sinistro tre anni fa per via del
cancro. Stiamo mangiando un gelato, mentre passeggiamo nel centro
commerciale, perché ha voluto comprarsi un nuovo paio di scarpe.
Dice, «Sai, speravo davvero che tu fossi un animale sconosciuto,
come un uccello-fanstama»
«Lo
so. Ci credi in quella roba?»
Solleva
le spalle e lecca il suo cono, mentre fa oscillare la busta della
Foot Locker. «Penso di sì. Probabilmente. Ci sono sempre delle cose
di cui non sappiamo nulla. Una volta negli anni Venti, in Texas, c’è
stata una serie di avvistamenti di un uccello nero, grande quanto una
città, appollaiato sulla luna. Adoro l'idea»
Strofina
via il caramello dal suo labbro con un dito e lo lecca mentre mi fa
un gran sorriso, e il mio chi mi
colpisce di nuovo all'addome come se avessi ingoiato una piccola
bomba.
La
sua scuola termina per l'estate, così iniziamo a lanciarci più
spesso. Tre volte alla settimana. Incomincia la sera mentre noi
usciamo dalla pista di atterraggio. Lei dice che suo padre sta
facendo dei turni più lunghi in questo periodo. L'EPA[1] sta
dando filo da torcere alla Dowling Industrial.
«In
ogni caso cos'è quella roba?», chiedo tracciando un arco nel cielo
color lavanda.
Lei
mi prende la mano, e smettiamo di camminare. «Non so cosa sia»
All'inizio
sono imbarazzato, perché non ho alcun mobile nel mio appartamento, e
il mio letto è una stuoia di bambù con un solo lenzuolo sottile.
Con la luce sempre più affievolita dalla finestra la peluria sul suo
seno e sulla pancia è lucente e bionda. Il sudore si raccoglie in
un’insenatura salata nel suo ombellico. La sua pelle è più scura
di quella di Mabel, e pesa meno.
Una
certa ansia svanisce quanto più andiamo avanti. Il tocco è
delicato. Come lo ricordavo, ma diverso.
«Dimmi
della tua prima volta» mi dice, il viso arrossato e luccicante, le
punte dei suoi capelli attaccate al mio petto.
Le
dico del salto dal Bethel Bridge, nel Cypress Park. Non faccio parola
della mia perversa curiosità di quella mattina, la chiara idea che
avevo, mentre facevo penzolare i piedi dal ponte, di tenere stretto
il paracadute piegato per tutta la discesa, e non lasciarlo mai
andare dalla mia mano.
«Davvero»,
dice. «Perché hai iniziato a farlo?»
Sollevo
le spalle e fingo di aver sonno. Non faccio parola della notte di
quattro anni fa quando ho comprato per Mabel mezzo grammo di eroina e
che lei è morta e scivolata nella vasca sotto l'acqua del bagno che
avremmo dovuto far insieme quando sarei tornato a casa.
Vorrei
spiegare che non sono semplicemente un ricercatore del brivido –
che l'arco è il nesso tra la civiltà e le lande selvagge, e lì io
occupo uno spazio tra spazi, dove la città e la foresta sono
separate da una geometria perfetta di solido acciaio. Ma non
parliamo, e quando chiudo i miei occhi, dalle fessure di uno
scarlatto bruciante erompono e crepano la perfetta simmetria del mio
Triangolo Blu.
La
mattina successiva chiamo mio padre alla Green Grove. Lui mi pone le
stesse due domande per quattro volte.
Erica
vuole che io vada a conoscere sua madre e a «vedere una cosa».
Posso indovinare cosa.
Sua
madre, Carol, ha i capelli dello stesso colore di quelli di Erica, ma
molto più corti. Lei mi chiede come sia lavorare nel serivizo di
sicurezza del parco e mi guarda con gentilezza mentre mi descrivo
come un amante della natura. Erica è calma. Quando guarda sua madre,
entrambe non mantengono il contatto visivo per molto, e io trovo
alcune somiglianze nei loro visi. Carol mi chiede dei miei hobby e ha
uno sguardo distante nei suoi occhi. La sua voce sembra tremare
quando parla; si tocca con assenza un orecchino, come se sia
preoccupata di qualcosa ma non vuole crear disagio a nessuno. Mi
ricordo che ha perso un seno quando era malata.
Il
giardino nel retro è elaborato e ben curato. Un piccolo ruscello ci
passa attraverso gorgogliando. Prendo un lungo respiro e confesso,
«Non voglio che tu lo faccia».
La
sua bocca si apre, ma prima che lei possa rispondere le dico «È
troppo pericoloso» e cerco di prenderle la mano.
Lei
incrocia le braccia e fa un passo indietro. «Sto bene così. Di cosa
stai parlando?». Dalla finestra della cucina è visibile la nuca di
sua madre. «Da dove ti viene?»
«È
troppo presto. È troppo presto e troppo pericoloso. Non voglio che
ti accada nulla». Non faccio parola del fatto che non posso
sopportare di uccidere un'altra ragazza.
Il
piccolo ruscello sciaborda fra di noi. «No», dice. «Ho ancora
intenzione di farlo. Dimenticatelo. Lo farò». In seguito, mi dice
che non verrà al nostro appuntamento a 10 000 piedi di altezza, e so
che non saremo mai più insieme su un aereo. Mi accompagna nella sua
camera da letto, dove la sua attrezzatura è sparpagliata sul
pavimento.
«Questo
è quello che volevi farmi vedere?»
È
una vela Ace 240 e una sacca Perigee II. Neri. «Proprio come i
tuoi», mi dice, e si muove verso di me. «So come si fa», mi dice.
«E potrei farlo. Ma ti sto chiedendo di farlo per me»
«Dai,
Erica, per favore». Mi permette di stringerle le mani.
«Lo
farò comunque, okay? Sia che tu lo faccia per me o no. Ma mi fido di
te». Mette la sua testa sul mio petto. «Voglio ancora farlo, ma mi
fido di te, okay?»
Annuisco.
Faccio
ruotare il Perigee II sul pavimento, le imbracature sono verso il
basso, e ripongo con solennità il fascio funicolare. È un’attività
seria. Divido i gruppi di funicelle e tiro lo slider su per la vela,
osservando che il bordo superiore della vela sia appeso tra mie
ginocchia e che il bordo posteriore invece sia lontano da me. Lei si
siede sul letto guardandomi alle spalle. La stanza profuma di lei,
come una giovane, vivace ragazza: alcune combinazioni di fiori e
cipria, lozioni e frutta.
Continuo
a lavorare con il tessuto tra i gruppi di funicelle fino all'esterno
delle funicelle stesse, e continuo a scandagliare in quel modo ogni
porzione della vela. È come ripiegare una fisarmonica. L'idea è
quella di mantenere tutti i punti di attacco delle funicelle verso il
centro della sacca di contenimento, con la tela ripiegata verso
l'esterno. Il letto cigola alle mie spalle, e i suoi polpastrelli mi
massaggiano la nuca. Ridefinisco con cura le pieghe precedenti.
Prendo il centro del bordo posteriore e lo porto in alto e lo tengo
sotto il mio pollice. Dopo fascio la parte posteriore e la ripiego su
se stessa. Ripongo le funicelle nella tasca inferiore e posiziono la
vela nella sacca. Dopo respiro.
Lei
mi bacia in testa. «Grazie»
Dormiamo
separati questa notte, e io passo due ore nella posizione del loto
con la schiena eretta, definendo mentalmente il mio cerchio del
potere, cercando di ricostruire il mio Triangolo Blu.
Le
primissime luci di un sole che sorge. Una falsa alba dopo che la luna
svanisce. Ora i gas nell'aria hanno finalmente iniziato a
stabilizzati, così sebbene il cielo sia di un indaco abbastanza
normale, la spessa nebbia sotto il Bethel Bridge è opalescente,
scintilla di rosa e viola. Lei indossa dei pantaloni larghi e neri e
una canottiera, con il Perigee piegato sulla sua spalla, imbottiture
sulle sue ginocchia, i capelli nascosti nel caschetto. Anche io ho
addosso la mia attrezzatura.
Entrambi
guardiamo giù nella nebbia, che luccica e ondeggia sotto il ponte.
Gli alberi di pino e gli arbusti sono silenziosi; ogni cosa esiste
sotto una sottile, offuscante coltre di aria colorata che ci separa.
«Non
si può nemmeno vedere il fondo», le dico.
Lei
sta guardando in basso. «E quindi? Conto fino a tre, giusto? E lo
vedrò quando sarò laggiù»
«Vorrei
non farlo». Le mie mani cominciano a tremare non appena lei sale
sulla ringhiera. «Erica...»
«Non
devi per forza. Io sì. Ci vediamo giù»
Ha
fretta, ingoia i respiri e non riesce a smettere di guardare giù. I
suoi occhi sono nel panico, e mi ricordano quelli di sua madre. Dopo,
quando noto quella somiglianza, capisco cosa ci sia fra di noi, cosa
deve averla spinta verso di me e il vero motivo per cui siamo qui
fuori.
«Erica,
aspetta. Se pensi che questo ti salverà dall’aver paura... non lo
farà. La paura non si ferma. Non lo farà mai»
Lei
mi guarda confusa e scuote il capo. «Cosa? Io non... non ho mai
detto una cosa del genere». I suoi occhi rimangono fissi sulla
nebbia scintillante. «Non l'ho mai detto».
Si
alzano rumori di sottofondo: uccelli cinguettanti, cose che si
azzuffano sugli alberi e che frusciano nell'erba. L'intelaiatura
comincia a rimbombare per via delle macchine in lontanza.
Sulla
punta della struttura lei afferra il suo pilotino, le sue nocche sono
bianche. Mi guarda e finge un sorriso. «Okay. Ci vediamo a terra».
Prende un enorme respiro e si lancia, lasciando uno sbuffo di nebbia
che rimane lì dove lei l'ha formato.
Mi
precipito sulla ringhiera e guardo giù. No, ascolta, vorrei dire.
Quello che noi pensiamo sia un gesto di libertà, vedi, è sintomo
della nostra gabbia. Ma lei è andata. Non riesco a vedere oltre la
foschia, il buco che lei vi ha fatto si è già richiuso, e mi
arrampico sulla cima dell'intelaiatura.
Cosa
posso fare se non seguirla fino in fondo?
Prima
degli esseri umani qui c'era un fiume profondo, che trasportava
tonnellate di vita tra gli oceani. Ora la nebbia oltre il ponte
concede solo un solco acciotolato di fredda, secca pietra. Un
giardino sotto il gas viola. Le rocce colpiscono i miei piedi quando
eseguo il mio atterraggio perfetto.
Al
suolo lei è sulle sue ginocchia, la vela le sventola attorno. Il mio
paracadute mi segue strisciando come una bandiera nera. Siamo piccoli
tra le felci giganti e l'edera che cresce all'interno dei muri
frastagliati in questo abisso. La sollevo e comincio a toglierle
l'imbracatura. Sta tremando. Si allunga verso la mia schiena per
togliere la mia. Una lacrima le riga il viso dietro gli occhiali di
protezione. Mi dice che credeva di essere sul punto di morire. Le
cinghie scorrono verso il basso e io sento la morta resistenza del
mio paracadute scivolare via.
Promettiamo
di non farlo mai più.
Compro
un materasso fatto di gel che promette di dar sollievo alla sagoma
della mia schiena. Compro lenzuala di cotone. Erica mi porta più
cuscini di quanti nessuno ha mai avuto bisogno. Cambio i miei orari
così lavoro solo per tre turni di notte.
Erica
vuole che le insegni le arti marziali, così uso il mio salotto vuoto
per mostrarle le figure di aikido che conosco. Tutti gli atterramenti
di kokyu
nage finiscono
con noi che lottiamo e ci sporchiamo sulla moquette.
A
lavoro continuo ad apprezzare la vista, ma quando contemplo il Mu e
l'obbiettivo del bushi di
unirsi al vuoto, i miei piedi sono pesanti. C'è un rimbombo nervoso
nel mio stomaco e una leggera vertigine quando guardo giù dalla
finestra del mio ufficio. Per quanto riguarda la mia realazione con
la gravità: Incomincio a chiedermi se sia mai esistita, dal momento
che "gravità", dopo tutto, è solo un nome dato a un
particolare fenomeno. Medito sull'isolamento come regola fisica che
governa questo universo: la massa attrae altra massa perché la
singolarità non è naturale, senziente o no, e l'unità base della
vita non è una, ma due. I pianeti e le lune si formano, e le persone
si congiungono perché qualcosa nel cosmo cerca di mantenerle unite.
Oltre l'arco una tenue tonalità di lilla nell'aria è tutto ciò che
rimane di quello che prima era una nuvola pesante che distorceva i
nostri cieli in questi ultimi due mesi. La Dowling Industrial ha
finito col patteggiare con l'EPA per cinque milioni di dollari e un
nuovo sistema di ventilazione che potrebbe risucchiarti gli occhi
dalle orbite.
Per
la fine di luglio, il padre di Erica lascia la madre.
L’ingresso
al Green Grove è falsamente antisettico. La carta da parati rosa e
il tappeto sono decenti, ma le piante sono di plastica e una
musichetta di sottofondo suona a volume sommesso. La signorina
Teschmaucer, la capo-reparto, si avvicina con compassione. Le
infermiere al Green Grove indossano delle uniformi celesti con
grembiuli blu scuro, e profumano di infermiere, di sapone Ivory e di
alcool disinfettante.
Lei
mi prende per un braccio e mi accompagna attraverso gli anziani
sorridenti, che mi guardano come se io potessi essere qualcuno che
una volta hanno amato. «Voglio solo che sia preparato», mi dice,
dando un colpetto al mio gomito.
La
stanza di mio padre è otto per quindici metri quadrati con i muri
beige e una moquette color salmone. Due sedie alte formano una V a
sinistra della televisione, che è posizionata su un cassettone di
legno standard. Una libreria contro un muro, con alcune foto di mia
made e me e i suoi genirori, una Bibbia, alcuni fiori. Il suo letto è
fatto alla maniera militare, le lenzuola così tese che ci si
potrebbe rimbalzare. Lui ha rifatto così il suo letto per tutta la
vita, e mi chiedo se certe cose spariscono veramente, azioni che sono
così giuste che non possono essere mai disimparate, non importa
cos'altro si dimentica.
Si
siede su una sedia a dondolo, indossando la sua vestaglia e il suo
pigiama, guardando fuori dalla finestra nell'angolo più lontano
della stanza.
«Jacob?»,
dice la signorina Teschmaucher, guidandomi verso di lui. «C'è
Ethan. Tuo figlio, Ethan».
Si
volta dalla finestra e guarda in alto verso di me. Il volto di mio
padre è una superfice perdutamente allargata di carne e macchie
cutanee; ha una mascella ancora prominente e un rimasuglio di capelli
bianchi tra la calvizie sulla testa. I suoi occhi blu esaminano lo
spazio dove ci troviamo. Lui sorride lentamente e annuisce. La sua
mano, secca, tirata, si allunga ad afferrare la mia.
«È'
bello vederti... davvero bello», dice, con quel tipo di tono di voce
che non si userebbe se non per fingere.
«Ciao
papà»
Si
volta verso la finestra e ispeziona il bucolico spazio verde che
assomiglia a un parco, posizionato nel cuore del complesso di Green
Grove. La signorina Teschmaucher e io ci scambiamo degli sguardi, e
dopo mio padre tocca la mia mano.
«Sono
preoccupato per il prato là fuori. Sembra secco questa stagione».
Mi
accovaccio accanto a lui e osservo fuori dalla finestra. «Non è poi
così male». Emana lo stesso profumo: tracce di cologna di Brut che
si spruzza ogni giorno da quando lo conosco. Gli metto un braccio
attorno alla spalla.
Mi
chiede, «Conosci Susie Frenesi?»
«No,»
gli dico.
Si
volta verso la finestra, poi di nuovo verso di me. I suoi occhi
brillano di una gioia improvvisa. «Bill? Dove sei stato?»
Prima,
avevo uno zio di nome Bill, il fratello più piccolo di mio padre.
«In
giro. Sai»
«Sono
preoccupato per l'erba là fuori»
Mentre
raggiungiamo l’ingresso, la signorina Teschmaucher dice che questa
deteriorazione continuerà e che non dovrò sentirmi ferito dalla sua
incapacità di ricordare chi sono. Non sono ferito. Lui è il primo a
cui tutto sia stato gradualmente rimosso, la sua identità è andata
via, anni caduti come la pelle che viene mutata in preparazione per
una nuova primavera. Non appena esco dall'edificio, guardo mio padre
vicino alla sua finestra ispezionare il prato, e io ho l'improvvisa
visione del Mu che
lo chiama, il luminoso vuoto che si avvicina a lui con una presa
abile e sinistra, portando nella sua luce tutto quello che lui era
una volta.
È
il momento che le cose siano portate via.
Il
momento in cui ho trovato una brochure per il Bridge Day fra i libri
di testo di Erica. Il Bridge Day è l'incontro annuale di tutti i
praticanti di BASE jumping a Fayetteville, nel West Virginia. Per un
giorno a Ottobre il BASE jumping è reso legale sul New River Gorge
Bridge.
Lei
torna nella sua stanza indossando una canottiera e dei jeans, i suoi
capelli tirati indietro, e le sue guance leggermente incavate. Ha
perso peso.
Brandisco
il volantino. «Non avrai intenzione di farlo sul serio, vero?»
Lei
alza le spalle e comincia a raccogliere delle cose, spostando vestiti
larghi lì in giro e sistemandoli nei cassetti.
«Ehi.
Non lo farai, vero?»
Lei
mi guarda e si lascia andare sul suo letto, gettando un braccio sui
suoi occhi. «Non lo so. Ci stavo pensando»
«Pensavo
che avessimo chiuso con tutto questo. Pensavo ne avessimo già
parlato»
Continua
a tenere un braccio sugli occhi. «Tu non devi fare nulla che non
vuoi», dice. Non cambiando posizione, con una mano usa un
telecomando per accendere lo stereo. I Pixies cominciano a cantare
troppo forte per una conversazione.
Quella
notte non prendo pace nel mio materasso nuovo e oscenamente comodo. I
miei pensieri si concentrano sul corpo di una ragazza che cade
attraverso lo spazio, con un paracadute che si apre un secondo più
tardi per poterne fermare la caduta. Il suo corpo si spezza sulla
roccia e sulle pietre, la vela le si poggia dolcemente sul corpo. La
gente si ammassa intorno, e quando quel sudario le viene tolto, il
volto che io vedo è quello di Mabel. Mi fa male lo stomaco, una
serie di crampi che non sentivo da quando ho avuto la mia prima crisi
d'astinenza, quattro anni fa.
Dormo
sul pavimento.
È
un momento di transizione, quando gli occhi dell'estate si chiudono e
inizia l'autunno. L’I
Ching mi
dice che il mio Yin dominante è Terra su Fuoco, che significa
“Ferita all'Illuminato”. Confucio consiglia «È di beneficio
essere determinato ad attraversare l'angoscia».
Poiché
me l'ha chiesto, preparo il paracadute di Erica in vista del Bridge
Day. Dopo le dico che non potremo mai più rivederci.
Si
arrabbia. «Cosa? Dici sul serio? Solo perché non farò quello che
mi hai detto di fare?»
Vuole
provocarmi, ma nella mia mente sono un perfetto Triangolo Blu, e il
mio cuore è calmo, un lento muoversi di onde in una spiaggia
interna. «Perché non voglio essere lì alla tua morte»
«Cosa?
Alla mia...» Alza le braccia. «Nessuno è mai morto
al Bridge Day»
«Non
è vero. Nel 1983 e 1987»
Erica
mette le mani sulle anche e guarda con sarcastico disgusto.
«Pazienza. Non ho intenzione di essere come qualche folle BASE
jumper. Cioè, guarda chi sta parlando. Qual è il tuo problema?»
Il
mio Triangolo perdura. Sono un ordine di tre linee perfette, battendo
di un color zaffiro freddo. «Non posso perderti» e quello che sto
pensando è, Sono
stanco che tutti scompaiano.
«Quindi,
okay, aspetta». Si siede sul letto e crea un piccolo riquadro con le
mani. «Per evitare di perdermi, tu mi lasci?»
Non
mi aspetto che ne capisca la logica. Mi chiama codardo. Dice che sono
io quello impaurito. Mi volto per andarmene, e lei mi dice che sono
come un drogato: Non so fare i conti con la vita e quindi mi isolo
con abitudini e idee. Dice che sono il Frankestein della filosofia
orientale. Non mi volto di nuovo, perché non penso che ci possa
essere altro da dire.
Cosa
puoi dire a qualcuno che ami che non sa tollerare le proprie paure?
Faccio
un salto al Green Grove durante la giornata, e riconosco mio padre
seduto alla sua finestra mentre guarda i rami degli alberi che
frusciano per via degli scoiattoli. Non penso spesso a lei.
Un
giorno mio padre non è alla sua finestra. Guardo, faccio
un'inversione a U, ci passo di nuovo, ma dove c'era lui vedo solo una
lastra luminosa di vetro che riflette il sole. So che al momento deve
essere da qualche altra parte a Green Grove, eppure mi fermo per
osservare, e in quel quadrato piatto e splendente della finestra
sento di poter vedere mio padre, forse per la prima volta, con
assoluta chiarezza.
Riprendo
i miei vecchi turni a lavoro.
Guardo
fuori dalla finestra quando arrivano le tre del mattino, mentre
stringo la mia imbracatura. Attraverso il vetro, le foreste rimangono
ancora misteriose, si allungano senza limite nell'oscurità, mentre
dall'altro lato dell'arco una città batte luminosamente, ribolle e
vibra con taciti movimenti. Sollevo la sciarpa a coprirmi il naso e
abbasso le lenti dei miei occhiali per la visione notturna, e il
mondo diventa un'idea confusa di spettri color smeraldo. Ora mi dico
che non sto sormontando i sogni della mia cultura, ma che vi sono
immerso.
Sono
come quel gigante nero appollaiato sulla luna, un'idea che esiste fra
la diceria e l'immaginazione, la forma che si spera di vedere quando
ci si azzarda a guardare in alto in cerca di qualcosa a tarda notte.
Ora
sono come un mito, un UFO, un uccello della tempesta, e questo ruolo
si porta le sue concessioni, la sua promessa di rituali e referenza,
mentre in basso, da qualche parte nella zona selvaggia o negli
appartamenti lungo il fiume, con i telescopi puntati fuori dalle
finestre, le persone aspettano di vedermi, pronte a modellarmi in
qualsiasi cosa loro decidano di credere che io sia. Apro la finestra
e lascio che la mia gamba scivoli fuori. Il vento mi accarezza.
Stringo il pilotino.
Ora
sono un fantasma.
Banzai.