L'ORRORE
A RED HOOK
Siamo
circondati da sacri misteri del bene e del male, e viviamo e ci
muoviamo in un mondo oscuro, un luogo di tenebre, caverne ed
abitatori del crepuscolo.
Talvolta
accade che l’uomo si volga indietro sulle tracce della propria
evoluzione, ed è mia opinione che esistano segreti paurosi non
ancora dimenticati.
ARTHUR
MACHEN
1.
Alcune
settimane fa, ad un crocevia nel villaggio di Pascoag, nel Rhode
Island, un uomo alto e possente, visibilmente in ottima salute, diede
mostra di un comportamento strano ed incomprensibile.
Probabilmente
era disceso dalla collina, seguendo la strada di Chepachet, ed era
arrivato in un quartiere molto popoloso, voltando poi a sinistra per
la strada principale, laddove il paese assume un aspetto più
metropolitano per via dei suoi innumerevoli, se pur modesti, negozi.
Ed
è proprio lì che, senza spiegazione alcuna, l’uomo cominciò a
comportarsi stranamente.
Per
qualche attimo posò il suo sguardo allucinato sul più alto degli
edifici che gli apparivano davanti, e quindi lanciò urli isterici in
preda al terrore.
Iniziò
poi una corsa sfrenata che si concluse con un’incespicata ed una
caduta all’incrocio seguente.
Mani
sollecite lo aiutarono a ripulirsi e a rialzarsi, mentre lui sembrava
tornato in sé, incolume, e rinsavito dall’improvvisa crisi
isterica.
Farfugliando
delle scuse, l’uomo cercò di giustificare il proprio
comportamento dicendo che era una conseguenza dello sforzo
fisico cui di recente si era sottoposto; quindi, con lo sguardo
basso, riprese la strada per Chepachet Road e si allontanò
faticosamente e senza mai voltarsi indietro.
Che
ciò fosse accaduto ad un uomo così forte, dall’aspetto
perfettamente sano e normale, rendeva l’incidente inspiegabile, e
la curiosità dei presenti fu ulteriormente stimolata dal fatto che
uno degli astanti disse di aver riconosciuto nell’uomo il
pensionante di una nota fattoria del circondario di Chepachet.
In
seguito si scoprì che l’uomo era un ispettore di polizia di New
York, di nome Thomas F.
Malone,
in quel periodo in licenza allo scopo di intraprendere una cura
rilassante dopo un periodo di superlavoro richiestogli dalla
risoluzione di un caso tremendo, avvenuta in circostanze drammatiche.
Durante
l’azione da lui capeggiata, si era verificato il crollo di numerosi
palazzi di mattoni, e lui era rimasto traumatizzato da qualcosa che
era in relazione con la morte di un numero esorbitante di vittime
travolte dalle macerie, tra le quali si annoveravano anche alcuni
suoi colleghi.
In
conseguenza dell’accaduto, era caduto preda di una tremenda paura,
la quale lo attanagliava alla vista di qualsiasi edificio che
somigliasse anche lontanamente ai fabbricati crollati, sicché alla
fine alcuni esperti di malattie mentali gli avevano proibito, almeno
per un lungo periodo, la vista di costruzioni del genere.
Un
medico della polizia, che aveva dei parenti a Chepachet, gli aveva
suggerito di andare per un po’ in vacanza in quell’antico borgo
coloniale, e lì Malone si era recato, ripromettendosi di non
spingersi mai in centri più grandi, dove esistevano quegli edifici
di mattoni la cui vista gli era stata proibita dallo specialista di
Woonsocket che lo aveva in cura.
Fare
una passeggiata fino a Pascoag per acquistare dei giornali si
era rivelato fatale, ed il convalescente aveva pagato la propria
disobbedienza al prezzo del terrore, dell’umiliazione e di diverse
ammaccature.
Ciò
è quanto raccontavano le comari di Chepachet e di Pascoag e
quello che i medici sostenevano.
In
realtà, Malone, inizialmente aveva raccontato molto di più ai
medici, ritrattando le proprie dichiarazioni soltanto quando aveva
constatato la crescente incredulità che queste suscitavano.
Da
allora aveva imparato a tenere la cosa per sé, senza contraddire
tutti coloro che ritenevano che il crollo di certi tristi fabbricati
di mattoni di Red Hook e di Brooklyn, in cui erano morti tanti bravi
poliziotti, avevano sconvolto la sua psiche.
Gli
rimproveravano di aver speso troppe energie nel tentativo di ripulire
quei covi di disordine e di violenza; a dire la sincera verità,
certi particolari della vicenda erano già stati piuttosto
sconcertanti per lui, e l’improvvisa tragedia gli aveva dato
soltanto il colpo di grazia.
Si
trattava di una spiegazione molto semplice e facilmente accettabile
e, poiché Malone non era uno stupido, comprese che era il caso che
la confermasse anche lui.
Raccontare
a gente senza immaginazione di un orrore che trascendeva la
comprensione umana – l’orrore di caseggiati, città e quartieri
putridi e malsani, infettati da un male proveniente da mondi più
antichi avrebbe provocato soltanto il suo confinamento in una stanza
dalle pareti ovattate, di gran lunga peggiore della sua camera in una
tranquilla casetta di campagna.
E
Malone, a dispetto del suo misticismo, aveva ancora del buon senso.
Possedeva
la facoltà tutta celtica di percepire da lontano tutto ciò che vi è
di occulto e magico, ma anche l’occhio acuto del logico che scarta
quanto non è convincente.
Nei
suoi quarantadue anni aveva visitato luoghi bizzarri, inusuali per un
laureato all’università di Dublino, nato in una villa georgiana
dalle parti di Phoenix Park.
E
adesso, mentre rivisitava con la memoria le cose viste, udite ed
apprese, era contento di non aver trasmesso a nessuno il segreto che
poteva fare di un uomo impavido un nevrotico tremante; il segreto che
riusciva a trasformare in un incubo e in un evento soprannaturale
fatiscenti caseggiati di mattoni e frotte di facce scure e sottili.
A
volte accadeva che le sue percezioni non trovassero poi una
spiegazione razionale, visto che il suo stesso tuffarsi nei
bassifondi multirazziali del mondo sotterraneo di New York era stato
solo il frutto di un capriccio.
Che
cosa sapeva lui dell’esistenza di antiche stregonerie ed arcani
misteri, che il suo occhio acuto individuava nel calderone delle
nefandezze in cui la feccia di secoli di immoralità faceva ribollire
il proprio veleno, tramandando i suoi orrori blasfemi? In quel
guazzabuglio assordante e caotico di avidità esteriore e di vizio
interiore, lui aveva visto ardere la fiamma verde e diabolica dei più
arcani misteri, ed aveva risposto con un sorriso condiscendente
all’irrisione di tutti i newyorkesi di sua conoscenza di fronte
alla sua decisione di entrare in polizia.
Con
cinismo e perfido divertimento, avevano deriso quella sua mania di
misteri soprannaturali e inconoscibili, assicurandogli che a New
York, di quei tempi, non si trovavano che mediocrità e bassezza.
Tra
di loro, uno aveva anche scommesso una forte somma che Malone,
nonostante la reputazione acquisita con i suoi articoli sulla Dublin
Review, non avrebbe mai scritto una storia decisamente interessante
sui bassifondi di New York.
Adesso,
ripensando al passato, sentiva che l’ironia dell’universo, pur
confutando segretamente il significato beffardo delle affermazioni di
quei profeti, al tempo stesso dava ragione alle loro parole.
L’orrore,
visto nella sua più profonda essenza, non poteva essere il
fondamento di una storia, in quanto, come dice l’autore tedesco
citato da Poe, es lasst sich nicht lesen: non si lascia leggere.
2.
Malone
avvertiva che il mistero latente nell’esistenza era sempre
presente.
Da
giovane sapeva recepire la bellezza insita nelle cose, e si sentiva
un poeta.
In
seguito la povertà, la sofferenza e l’esilio, avevano allontanato
la sua attenzione, portandolo in una strada più oscura, e lui aveva
avvertito un brivido nel percepire il male che circondava il mondo.
La
vita quotidiana si presentava per lui come una fantasmagoria di
terribili segreti, che talvolta brillavano tra la corruzione
nascosta, come nei più suggestivi disegni di Beardsley, e talvolta
adombravano terrori presenti dietro cose ed oggetti banali, come
accade nell’opera più ricercata e sensibile di Gustave Doré.
A
volte riteneva una benedizione che le persone molto intelligenti
spesso deridessero i misteri più profondi, poiché altrimenti –
pensava – se gli intelletti superiori si fossero messi ad indagare
nei segreti di culti atavici e tenebrosi, le stranezze che ne
sarebbero scaturite avrebbero minacciato il nucleo stesso
dell’universo.
Questo
tipo di riflessioni avevano certamente qualcosa di morboso, ma allo
stesso tempo evidenziavano una logica penetrante ed un profondo senso
dell’ironia.
Malone
lasciava che i suoi presentimenti restassero intuizioni proibite, e
l’isterismo si fece strada in lui solo allorquando il dovere lo
catapultò in un abisso di rivelazioni così insidiose e subitanee,
da non lasciargli scampo.
Da
tempo si interessava al caso della stazione di Butler Street a
Brooklyn, quando venne a conoscenza della faccenda di Red Hook.
Red
Hook è un agglomerato di sordide miserie a ridosso del vecchio
porticciolo, di fronte a Governor’s Island, con strade luride e
pontili che si inerpicano verso la collina fino a raggiungere la
parte alta, laddove le strade dissestate di Clinton Street e Court
Street si snodano in direzione di Borough Hall.
I
caseggiati, prevalentemente in mattoni, furono costruiti tra il 1915
ed il 1920, ed i vicoli e le stradine meno illuminati rievocano un
piacevole sapore di antico che si può definire “tipicamente
dickensiano”.
La
popolazione, costituita da una massa di disperati, è un vero enigma:
ci sono siriani, spagnoli, italiani, negri, che si danno fastidio
reciproco, ed un po’ più separati dalle altre razze, invece,
vivono piccoli gruppi di scandinavi ed americani.
Il
quartiere è una babele di rumori e di sudiciume, ed emette
misteriosi lamenti in risposta allo sciacquio delle onde bituminose
che si infrangono sui fetidi moli, e alle orrende nenie intonate
dalle sirene delle navi.
In
questo quartiere, in passato, lo scenario era molto più ameno:
marinai dagli occhi azzurri passeggiavano lungo i viottoli della
parte bassa, e villette benestanti di buon gusto si ergevano dove
adesso i caseggiati costeggiano la collina.
Anche
oggi si possono ritrovare tracce di quella tramontata serenità nello
stile armonioso degli edifici, nelle minute chiesette che spuntano
qua e là, in alcuni esempi di arte urbana ed in certi particolari,
ad esempio una scalinata consunta dal tempo, un portone decorato, un
paio di colonne pericolanti, un ultimo ritaglio di prato dove
rimangono ancora vecchi corrimano contorti e rugginosi.
Di
norma, le case sono costruite in grossi blocchi di mattoni, ed ogni
tanto, tra le miriadi di finestre, spunta una guglia che ricorda quei
tempi in cui le famiglie dei capitani e dei proprietari di navi
contemplavano il mare.
Questo
amalgama di putridume materiale e spirituale, scagliava contro il
cielo bestemmie pronunciate in cento dialetti diversi.
La
gente brulicava sia nei vicoli interni che nelle strade principali;
mani furtive smorzavano all’improvviso le luci ed oscuravano le
finestre; facce colpevoli e fosche si allontanavano dai vetri non
appena si avvicinava qualche turista.
I
poliziotti avevano perso la speranza di ripristinare l’ordine e
ristabilire la legge, e cercavano più che altro di porre delle
barriere che proteggessero il mondo esterno dall’infezione di quei
posti.
Il
rumore dei passi delle pattuglie trovava eco in un silenzio di tomba,
e la gente, quando veniva arrestata, non parlava mai.
La
gamma degli illeciti variava come i dialetti, dal furto di rum e
dall’immigrazione clandestina, a diversi generi di vizi e di gravi
infrazioni alla legge, nonché all’omicidio e la mutilazione nelle
forme più orrende.
Che
si trattasse di reati sporadici, nessuno di quelle parti lo credeva,
e non era cosa che deponesse a favore della comunità, a meno che
l’arte di compiere crimini di nascosto non venga considerata
ammirevole.
La
gente che arrivava a Red Hook, era molto più numerosa di quella che
se ne andava – che se ne andava, perlomeno, via terra – e queste
ultime persone, probabilmente, erano quelle che parlavano di meno.
Questa
situazione appariva piuttosto misteriosa a Malone, ed egli intuiva
l’esistenza di segreti molto più spaventosi dei crimini denunciati
dai cittadini, e condannati dalla chiesa e dai moralisti.
Poiché
univa all’immaginazione la metodicità scientifica, era conscio del
fatto che l’uomo moderno, quando non esistono leggi, tende
costantemente a sfogare gli istinti più tenebrosi, che risalgono ai
nostri scimmieschi primitivi antenati, e nella vita ordinaria, e
nelle manifestazioni di culto.
Molte
volte aveva visto, con l’eccitazione dell’antropologo, le
processioni cantilenanti e blasfeme di quei giovani dalla faccia
rovinata e dallo sguardo torbido che si snodavano per le strade alle
prime ore del giorno.
Era
molto frequente incontrare gruppetti di quei giovani: a volte
all’erta all’angolo della strada, a volte di fronte ai portoni
delle case a suonare musiche incomprensibili con strumenti rimediati
chissà dove, altre volte ancora in ozio o impegnati in discussioni
volgari ai tavoli dei caffè intorno a Borough Hall, oppure intenti a
bisbigliare qualcosa a luridi tassì in sosta sotto gli alti balconi
di catapecchie in disfacimento e tenute ben chiuse.
Malone
era inorridito ed allo stesso tempo attratto da questi individui più
di quanto desse a vedere ai colleghi, in quanto credeva di percepire
in loro l’orrida minaccia di una continuità nascosta, un qualche
piano infernale, insondabile e primitivo, acquattato sotto
quell’insieme di avvenimenti turpi, consuetudini ed incontri che la
polizia aveva registrato accuratamente.
Lui
intuiva che in qualche modo perpetuavano un culto selvaggio ed
osceno, retaggio di pratiche e rituali più antichi dell’umanità
stessa.
La
loro assiduità e comunanza di scopi, e l’impensabile ordine
celato dietro il loro apparente disordine, sembravano confermare
questo suo sospetto.
Non
era a caso che aveva letto trattati come Il culto della Stregoneria
nell’Europa Occidentale, della Murray , e sapeva che, fino a pochi
anni prima, esisteva di sicuro nelle campagne una confraternita che
si riuniva in segreto e praticava orge collegate a certe religioni
antichissime ed oscure più antiche della stessa cultura ariana, le
quali si ritrovavano nelle leggende popolari con l’appellativo di
Messe Nere e Sabba delle Streghe.
Malone
non poteva convincersi che queste sopravvivenze diaboliche di riti di
magia e di fertilità di antica provenienza euroasiatica si fossero
estinti del tutto: anzi, sovente si chiedeva se queste pratiche non
fossero addirittura più ataviche ed anche più tenebrose delle
peggiori pratiche superstiziose note all’uomo.
3.
Malone
fu condotto negli abissi di Red Hook dal caso di Robert Suydam.
Suydam
veniva da un’antica famiglia olandese, era un uomo di cultura dai
discreti mezzi finanziari, e viveva in un’abitazione piuttosto
grande ma poco curata costruita dal nonno a Flatbush, quando il
villaggio era formato soltanto da un pugno di semplici villette in
stile coloniale.
Quelle
case si erano andate raggruppando intorno alla Chiesa Riformata, il
cui edificio, interamente coperto dai rampicanti, ospitava un
campanile, ed era protetto da una recinzione in ferro nel cui prato
gli olandesi seppellivano anticamente i defunti.
Nella
sua solitaria abitazione, che si estendeva da Martense Street lungo
un terreno cintato da vecchie piante, Suydam aveva passato oltre
sessant’anni a leggere e riflettere, tranne per un periodo di otto
anni, la generazione prima, in cui era andato per mare nel Vecchio
Mondo.
Non
aveva i mezzi per tenere la servitù, e lasciava che solo pochissimi
visitatori turbassero il suo eremitaggio.
Schivava
le amicizie profonde ed accoglieva i rari conoscenti in una delle
stanze a pianterreno che puliva lui stesso, nella quale aveva
sistemato una spaziosa biblioteca che arrivava fino al soffitto, i
cui scaffali erano gremiti di libri consunti dall’aspetto
imponente, vetusto e persino leggermente ripugnante.
L’espansione
della città fino al distretto di Brooklyn aveva avuto poca
importanza per Suydam, e l’esistenza di Suydam aveva sempre meno
importanza per la città.
Gli
anziani ancora lo riconoscevano, quando l’incontravano, ma per
tutti gli altri era solo un eccentrico vecchio corpulento, e non
degnavano che di un’occhiata divertita i suoi capelli canuti e
spettinati, la sua barba ispida, i suoi vestiti neri e lisi, ed il
suo bastone dal pomello d’oro.
Quando
il dovere lo portò al suo caso, Malone non lo aveva mai visto di
persona, sebbene ne avesse sentito parlare da altri come di una
grossa autorità in fatto di superstizioni popolari, ed una volta
aveva consultato un suo opuscolo da tempo fuori stampa, concernente
argomenti quali la Kabbalah e la leggenda di Faust.
Gli
era stato citato a memoria da un suo amico.
Si
parlò per la prima volta del “caso” Suydam quando i suoi unici e
distanti parenti richiesero al tribunale una perizia psichiatrica.
Sebbene
la loro azione legale fosse apparsa agli estranei alquanto
improvvisa, venne intentata, in realtà, dopo una lunga osservazione
dell’uomo ed una spiacevole discussione su di lui.
I
parenti motivavano la richiesta adducendo a riprova alcuni
cambiamenti nei suoi discorsi e nelle sue abitudini: faceva, infatti,
allusioni folli a misteri che incombevano sul mondo, e gli era venuta
un’assurda mania di persecuzione verso gli abitanti del confinante
quartiere di Brooklyn.
Negli
anni, Suydam si era lasciato sempre più andare, ed ora se ne andava
in giro addirittura come uno straccione.
Talvolta
si aggirava nelle stazioni della metropolitana, dove veniva visto da
amici che si vergognavano di salutarlo, oppure se ne andava a
curiosare sui moli, dalle parti di Borough Hall, dove chiacchierava
con gente sconosciuta dalla faccia poco raccomandabile.
Quelle
poche volte che parlava, farneticava di poteri illimitati che aveva
in mano sua, o mormorava, con uno sguardo allusivo, parole e nomi
misteriosi come “Sephiroth”, “Ashomodai”, “Samael”.
Il
tribunale scoprì, dopo un’accurata indagine, che stava dilapidando
tutto il patrimonio nell’acquisto di certi libri molto rari
provenienti da Londra e da Parigi, e che sciupava altri soldi per
l’affitto di un sordido seminterrato di Red Hook, dove passava
quasi tutte le notti ad incontrarsi con gruppetti equivoci di
stranieri e di individui poco raccomandabili, e dove, dietro le
imposte verdi delle finestre ben serrate, veniva praticato – era
questo il sospetto – qualche strano rito religioso.
Gli
investigatori incaricati di pedinarlo dicevano che quelle
celebrazioni notturne erano accompagnate da misteriose grida, canti
sconosciuti e strani trapestii, e tremavano al solo pensiero di
simili follie estatiche ed esaltazioni, sebbene fosse risaputo che da
quelle parti la celebrazione di turpi rituali era pratica comune.
Quando
fu chiamato a spiegare questi fatti, Suydam fu bravissimo, e
venne prosciolto.
Al
giudice si mostrò un uomo sensato ed equilibrato; riconobbe di
essersi comportato in modo insolito e di aver detto delle
stravaganze, ma era tutto per colpa del suo eccessivo impegno di
studioso e di scienziato.
Sostenne,
inoltre, di essere tutto preso da una ricerca su certe tradizioni
europee, la cui natura particolare richiedeva uno stretto contatto
con etnie straniere, al fine di poterne studiare i canti e le
danze folkloristiche.
Dichiarò
infondata l’accusa dei suoi parenti, i quali affermavano che
era stato plagiato da una setta occulta, e si lamentò, inoltre,
della loro totale ignoranza circa il suo lavoro.
Avendo
dato queste spiegazioni convincenti, poté andarsene via liberamente,
e gli investigatori assunti dai Suydam, dai Corleans e dai Van
Brunts furono licenziati fra la disapprovazione generale.
Fu
allora che si stabilì una collaborazione congiunta tra gli ispettori
federali e la polizia – di cui Malone faceva parte – per indagare
su alcuni interrogativi lasciati aperti dal caso.
La
polizia si era interessata alla vicenda creata dai parenti di Suydam,
e gli investigatori privati le si erano rivolti diverse volte.
In
virtù di questi contatti, uscì fuori che tra i nuovi amici di
Suydam c’erano alcuni dei criminali più duri di Red Hook, e che
almeno un terzo delle persone che frequentava era già stato
arrestato dalla polizia per furto abituale, zuffe ed immigrazione
clandestina.
In
verità, non era eccessivo affermare che la cerchia d’amicizie
dello studioso coincideva perfettamente con le peggiori bande
criminali, responsabili dell’arrivo sulla costa di certa feccia
asiatica, priva di documenti ed impossibile da identificare, che era
stata saggiamente respinta dagli uffici di Ellis Island.
Nel
decrepito e sovrappopolato caseggiato di Parker Place cui in seguito
venne cambiato nome – dove Suydam aveva preso il suo seminterrato,
si era ammucchiata un’autentica colonia di una razza dai tipici
tratti somatici e dai caratteristici occhi di taglio obliquo, la cui
lingua era l’arabo e che era stata immediatamente emarginata dalla
comunità siriana che abitava in Atlantic Avenue e nella zona
limitrofa.
Per
legge sarebbe stato possibile rispedirli tutti in patria, dal momento
che non avevano documenti, ma si sa che la burocrazia è lenta… e
non si va a stuzzicare Red Hook, quando non è strettamente
necessario.
Questa
gente si riuniva in una chiesa sconsacrata che ogni giovedì si
trasformava in sala da ballo, la cui struttura gotica si stagliava
nella parte più squallida del molo.
Ufficialmente
era una chiesa cattolica, ma nessun prete a Brooklyn ne riconosceva
l’esistenza, e persino i poliziotti si trovarono d’accordo,
quando udirono i rumori che di notte venivano dall’interno.
Malone
aveva spesso l’impressione di sentire le lugubri note basse e
sostenute di un organo sotterraneo, quando la chiesa era vuota e con
le luci spente, e i fedeli tremavano nel sentire i battiti di tamburo
che accompagnavano le celebrazioni aperte al pubblico.
Durante
l’interrogatorio, Suydam affermò che quel rituale, secondo lui,
era una sopravvivenza di cristianesimo nestoriano con influenze di
sciamanismo tibetano.
Congetturò
che quella gente appartenesse ad una razza mongola proveniente dal
Kurdistan o dalle regioni vicine, e a quel punto Malone non
poté evitare di ricordare che il Kurdistan era la terra degli
Yezidi, gli ultimi discendenti, in Persia, degli adoratori del
demonio.
In
qualunque modo stessero le cose, l’indagine iniziata con il caso
Suydam rivelò che questi nuovi immigrati affluivano a Red Hook in
numero crescente.
Riuscivano
ad entrare per via della complicità di alcuni marittimi il cui modo
d’agire non era ancora noto né alla polizia, né alla guardia
portuale; superavano quindi Parker Place e si sparpagliavano
velocemente sulla collina, subito accolti dagli altri abitanti del
quartiere per via di uno strano fraternalismo.
I
loro corpi tozzi e i loro caratteristici lineamenti prognati, in
strano contrasto con gli abiti americani, si vedevano sempre più
numerosi a Borough Hall, amalgamandosi con i fannulloni ed i
ladruncoli del quartiere.
Infine
venne ritenuto necessario un censimento, per accertare la loro
provenienza e la loro occupazione conducendoli all’Ufficio
Immigrazione.
Per
via di un accordo tra federali e polizia, fu Malone ad assumere
questo incarico, con il compito di escogitare un sistema atto a
censire quella gente mediante un coordinamento di forze.
Nel
momento in cui accettava l’incarico, Malone ebbe la sensazione di
essere sospinto verso una voragine di orrori inesprimibili, sui quali
si stagliava il viscido Robert Suydam nel ruolo di arci-diavolo ed
acerrimo nemico.
4.
Spesso
la polizia utilizza metodi inconsueti ed astuti.
Passeggiando
senza dare nell’occhio, origliando certe conversazioni fortuite,
offrendo al momento debito il liquore che portava nella tasca
posteriore dei calzoni, e ponendo alcune domande mirate a
prigionieri intimoriti, Malone riuscì a sapere numerosi particolari
su quel misterioso ed allarmante via vai di gente.
I
nuovi arrivati erano curdi veramente, ma il loro dialetto era così
curioso, che neppure il filologo più esperto era riuscito ad
identificarlo.
Qualcuno
si procurava da vivere come scaricatore di porto clandestino, o come
ambulante, ma quelli della loro razza li si vedeva assai di frequente
nei ristoranti greci, o dietro alle edicole agli angoli delle
strade.
Gran
parte di loro, in ogni modo, non era in grado di provvedere al
proprio sostentamento: da qui la supposizione che svolgessero per
forza delle attività illecite.
Tra
queste, il furto ed il contrabbando di liquori erano i crimini meno
disgustosi.
Li
avevano portati delle vaporiere che assomigliavano più che altro a
vecchie navi merci, e il loro sbarco era avvenuto di notte, quando
non c’era la luna, mediante barche a remi che partivano da un molo
designato e risalivano un canale nascosto che conduceva ad uno stagno
sotterraneo sotto le fondamenta di una casa.
Malone
non fu in grado di trovare né il molo, né il canale, né l’edificio
che copriva lo stagno, in quanto i suoi informatori, oltre a
ricordare poco, parlavano un dialetto che neppure il miglior
traduttore avrebbe potuto decifrare.
D’altro
canto, non raccolse neppure informazioni attendibili quanto ai motivi
di quelle numerose immigrazioni clandestine.
Alla
domanda da dove venissero, gli informatori diventavano reticenti, e
non si sbottonavano mai sino al punto di rivelare il nome di chi li
aveva contattati ed aveva provveduto alla loro immigrazione.
Al
contrario, quando gli venivano chieste le ragioni del loro
arrivo, si lasciavano prendere dal panico.
Anche
delinquenti di altre etnie si dimostravano poco loquaci, e l’unica
cosa che si venne a sapere con certezza fu che erano stati promessi
loro – o da un dio, o da una potente confraternita religiosa –
poteri mai immaginati, premi spirituali ed il possesso di un paese
ignoto.
L’affluenza
di nuovi adepti e brutte facce già note a quegli incontri notturni
nello scantinato di Suydam, era regolare e continua, e la polizia
scoprì molto presto che lo studioso aveva affittato altri
appartamenti per accogliere questi nuovi amici a conoscenza della
parola d’ordine.
Alla
fine erano diventati tre i caseggiati da lui affittati, dove molte
delle sue insolite conoscenze trovarono una sistemazione definitiva.
A
Flatbush si recava ormai molto di rado e, a quanto sembrava, solo a
prendere e poi riportare certi volumi.
Aveva
assunto un’espressione ed un contegno estremamente eccentrici.
Malone
riuscì a parlargli due volte, ma venne congedato in tutta fretta in
entrambe le occasioni dal vecchio olandese.
Lui
non ne sapeva nulla – così aveva dichiarato Suydam – di trame o
movimenti loschi, e non aveva la più pallida idea su come i curdi
fossero arrivati, né tantomeno di cosa volessero.
Come
ricercatore, si limitava a studiare – sperando di essere lasciato
in pace – il folklore dei gruppi etnici che si erano
insediati nel quartiere, e di sicuro questa sua attività non poteva
interessare in alcun modo la polizia.
Malone
gli fece i complimenti per il vecchio opuscolo da lui scritto sulla
Kabbalah ed altri miti, ma il vecchio lo guardò con simpatia
soltanto per pochi secondi.
La
sua intimità era stata violata, e fu talmente scortese con il
poliziotto, che Malone se ne andò tutto infuriato, decidendo di
ricorrere ad altri canali d’informazione.
Quello
che Malone avrebbe potuto scoprire, se gli avessero dato la
possibilità di approfondire ulteriormente il caso, non potremo mai
saperlo.
Una
sciocca divergenza tra la polizia ed i federali, bloccò l’indagine
per alcuni mesi, nel corso dei quali l’ispettore fu preso da altri
incarichi che lo assorbirono completamente.
Eppure
il suo interessamento alle attività di Robert Suydam non era
cessato, e continuò a stupirsi per quello che gli stava accadendo.
In
coincidenza con tutta una serie di scomparse e di rapimenti di
bambini, che avevano sconcertato New York, nel trasandato studioso
erano avvenuti dei cambiamenti eccezionali ed incredibili: lo avevano
visto dalle parti di Borough Hall con la barba perfettamente rasata,
con i capelli ben acconciati, e con un abito bianco di eccellente
fattura.
Di
fatto, ogni giorno che passava, migliorava nell’aspetto
inspiegabilmente.
Era
sempre curato, ma adesso aveva anche uno strano luccichio negli
occhi; parlava meglio, ed aveva iniziato a perdere quell’eccesso di
peso che lo aveva reso goffo così a lungo.
Sembrava
ringiovanito.
Aveva
acquistato agilità nel passo e disinvolta allegria nei modi, ed i
suoi capelli erano tornati nuovamente neri nonostante non ricorresse
a tinte.
Con
il passare dei mesi, Suydam cominciò a sfoggiare vestiti sempre più
raffinati e, alla fine, stupì tutti i suoi amici ammodernando e
ritinteggiando la casa di Flatbush, dove tenne numerosi ricevimenti
ai quali invitò tutti i suoi conoscenti, parenti compresi,
accogliendo questi ultimi con il sorriso nonostante avessero tentato
di farlo rinchiudere in manicomio.
Alcuni
parteciparono per curiosità, altri per dovere: ma tutti rimasero
esterrefatti dalla cortesia e dalle buone maniere di quello che si
giudicava un inguaribile eccentrico.
Suydam
annunciò a tutti di aver finalmente concluso il lavoro che si era
prefisso e che, avendo ereditato da poco i beni di un suo defunto
amico in Europa, del quale si era praticamente scordato, intendeva
trascorrere i suoi ultimi anni come se stesse vivendo una seconda
primavera, perché una maggiore cura della propria persona, il riposo
e la dieta gli avevano restituito la giovinezza.
Le
sue visite a Red Hook divennero sempre più rare, ed invece cominciò
a frequentare la buona società cui apparteneva per estrazione
sociale.
I
poliziotti notarono nel contempo un cambiamento nelle abitudini dei
delinquenti che, anziché riunirsi nello scantinato di Parker Place,
presero ad incontrarsi nella chiesa sconsacrata adibita a sala da
ballo, anche se gli edifici della zona che Suydam aveva affittato non
erano stati ancora ripuliti dagli elementi sospetti.
In
seguito due avvenimenti, forse collegati, suscitarono molto interesse
in Malone.
Il
primo fu l’annuncio, pubblicato sull’Eagle, del fidanzamento di
Robert Suydam con la signorina Cornelia Gerritsen di Bayside, una
giovane di ottima posizione sociale e lontana cugina dell’anziano
professore.
Il
secondo fu l’irruzione della polizia nella sala da ballo, in
seguito alla segnalazione di qualcuno che aveva visto dalle finestre
a pianterreno uno dei bambini rapiti.
Malone
aveva voluto far parte dell’azione e, quando era entrato
all’interno, aveva esaminato scrupolosamente il posto.
Non
si trovò nulla – non c’era anima viva – ma il suo sesto senso
di celta gli comunicò che c’era qualcosa di strano, lì dentro.
L’ex
chiesa era ornata da dipinti di una tale rozzezza, da disturbarlo
intimamente; raffiguravano volti di santi dall’espressione
palesemente mondana e crudele, ed in certi punti indugiavano in
atteggiamenti così equivoci che riuscivano ad offendere persino un
laico.
In
particolare, Malone fu turbato da un’iscrizione in greco apposta
sulla parete di fronte al pulpito, che descriveva un antico
incantesimo a lui noto fin dall’epoca dell’università a Dublino
il quale, nella traduzione letterale, recitava così: O compagna e
amante della notte, tu che gioisci quando ululano i cani ed il caldo
sangue è versato, tu che vaghi con i fantasmi fra i sepolcri, tu che
hai sete di sangue e trafiggi con gelido terrore il cuore dei
mortali, Gorgo, Mormo, luna dai mille volti, volgi propizio il tuo
occhio sul nostro sacrificio! Nel leggere quell’epigrafe (4),
Malone rabbrividì, e ripensò vagamente alle basse e sostenute note
d’organo, che gli era parso di udire nella chiesa durante alcune
notti, provenienti dal sottosuolo.
Un
nuovo brivido lo prese osservando la ruggine o comunque le chiazze
brune, che incrostava il bordo di un bacile di metallo lasciato
sull’altare e, quando avverti un lezzo micidiale esalare lì
vicino, fu agitato da un improvviso nervosismo.
Stava
di nuovo pensando all’organo.
Prima
di uscire, esaminò attentamente il seminterrato.
Quel
luogo gli risultava insopportabile, ma quei dipinti e quelle epigrafi
blasfeme, non erano in fondo il semplice frutto dell’ignoranza di
gente superstiziosa? Quando Suydam aveva annunciato il proprio
matrimonio, si era verificata una vera ondata di rapimenti di bambini
che aveva sconvolto l’intera città.
In
maggioranza si trattava di bambini poveri, ed il numero crescente
delle scomparse aveva scatenato un vero furore.
I
giornali chiedevano l’intervento della polizia, e il distretto di
Butler Street inviò nuovamente i suoi uomini a Red Hook, ad indagare
ed acciuffare i responsabili.
Anche
Malone partecipò all’azione, distinguendosi per valore in
un’irruzione dentro uno degli appartamenti di Parker Place
affittati da Suydam.
Sul
posto non c’era traccia di bambini rapiti, anche se qualcuno aveva
sentito pianti ed urla, e sebbene fosse stata trovata una sciarpa
rossa nei dintorni.
Ma
i dipinti e le epigrafi blasfeme che si vedevano sulle pareti, ed il
rudimentale laboratorio chimico trovato in soffitta, convinsero
l’ispettore di essere sulle tracce di qualcosa di tremendo.
Quei
dipinti erano spaventosi: raffiguravano mostri orrendi di varia forma
e grandezza, che scimmiottavano l’uomo in maniera grottesca e
indescrivibile.
Le
iscrizioni erano in rosso, e scritte in diverse lingue: arabo, greco,
latino ed ebraico.
Malone
non poté decifrarle tutte, ma da quello che capì, doveva trattarsi
di formule misteriche e cabalistiche.
Una
frase in greco ellenistico ebraicizzato, ritornava sistematicamente,
e ricordava le più tremende invocazioni ai demoni risalenti alla
tarda epoca alessandrina: HEL – HELOYM – SOTHER – EMMANVEL –
SABAOTH – AGLA – TETRAGRAMMATON – AGYROS – OTHEOS –
ISCHYROS – ATHANATOS – IEFIOVA – VA – ADONAI – SADAY –
HOMOVSION – MESSIAS – ESCHEREHEYE (5) Inoltre, vi erano
ovunque circoli e pentagrammi, di certo espressione delle misteriose
credenze di quelli che abitavano in quel sudicio stabile.
Ad
ogni modo fu in cantina che venne rinvenuta la cosa più bizzarra:
una montagna di autentici lingotti d’oro, nascosti da un telo, che
recavano incisi gli stessi caratteri criptici disegnati sulle pareti.
Al
momento dell’irruzione, la polizia trovò debole resistenza da
parte di quegli strani orientali, che uscivano dalle stanze come
mosche.
Dal
momento che non venne scoperto nulla di rilevante, si dovette
lasciare tutto così com’era, ma il comandante del distretto inviò
a Suydam una nota in cui lo avvertiva di scegliere con più cura i
propri inquilini e protetti, perché la gente cominciava a mormorare
seriamente.
5.
In
giugno, ebbe luogo il matrimonio più sensazionale dell’anno.
A
mezzogiorno, Flatbush era tutto in festa; le stradine intorno alla
vecchia chiesetta olandese erano state invase da automobili
imbandierate: un corteo continuo dall’ingresso alla carreggiata.
A
Flatbush non ci fu mai più un evento così fastoso ed importante
come il matrimonio Suydam-Gerritsen; gli ospiti che accompagnarono
gli sposi fino al molo di Cuniard uscivano tutti dal meglio della
buona società.
Alle
cinque, la coppia aveva già salutato amici e parenti, ed il
magnifico transatlantico sul quale si erano imbarcati si stava
staccando lentamente dal porto.
Quando
ebbe volto la prua verso il mare aperto, scivolò sugli spazi
sterminati dell’oceano, diretto ai fasti del Vecchio Mondo.
A
notte doppiò il porto esterno e i passeggeri rimasti ancora alzati
poterono ammirare lo sfavillio delle stelle sull’oceano
incontaminato.
Nessuno
saprà mai se fu prima la vecchia vaporiera oppure l’urlo, a
richiamare l’attenzione di tutti.
è
molto probabile che gli eventi furono simultanei, ma non potremo mai
stabilirlo con sicurezza.
L’urlo
proveniva dalla cabina di Suydam.
Il
marinaio che abbatté l’uscio a spallate avrebbe potuto rivelare
cose sconvolgenti, se solo non fosse uscito di senno.
Strillò
invece, anche più forte delle vittime, e dopo si mise a correre
impazzito per tutta la nave finché non fu preso ed immobilizzato.
Il
medico di bordo che entrò nella cabina pochi minuti dopo, ed accese
la luce, probabilmente non impazzì, ma di sicuro non raccontò ad
altri ciò che aveva visto, eccettuato Malone, col quale ebbe uno
scambio di lettere a Chepachet.
Si
trattava di omicidio – strangolamento, per l’esattezza – ma è
superfluo specificare che il segno dell’artiglio che aveva
soffocato la signora Suydam non poteva essere del marito, o meglio,
non poteva appartenere ad una mano umana, e sul muro bianco era
comparsa per pochi secondi una spaventosa scritta rossa, in carattere
caldei: LILITH.
Il
dottore la vide per un attimo, e la trascrisse a memoria.
Quest’ultimo
particolare, tuttavia, non ebbe alcuna rilevanza, visto che scomparve
subito.
Quanto
a Suydam, si tentò di allontanare i curiosi dalla cabina finché non
si fosse trovata una spiegazione plausibile del fatto.
A
Malone il medico non disse di aver visto la cosa; dichiarò, invece,
di aver notato uno strano chiarore fosforescente, prima di accendere
la luce, sopra l’oblò aperto della cabina.
Per
un istante, aveva avuto l’impressione di udire nella notte delle
risa diaboliche, ma non aveva visto nessuno in carne ed ossa.
A
riprova delle proprie dichiarazioni, sottolineò la sua indiscutibile
sanità mentale.
Intanto,
il vapore sconosciuto aveva attirato l’attenzione generale.
Se
ne era staccata una scialuppa, ed una frotta di uomini sudici ed
arroganti, vestiti come ufficiali, erano sciamati a bordo della nave
che, nel contempo, aveva spento i motori.
Chiedevano
di Suydam o della sua salma.
Erano
venuti a conoscenza della sua partenza e, per qualche arcano motivo,
avevano immaginato che sarebbe morto.
Sul
ponte di comando si era scatenato un putiferio: tra il racconto del
medico e le domande pressanti della ciurmaglia del vapore, neppure il
lupo di mare dotato di maggior buon senso avrebbe saputo cosa fare.
Poi,
tutto d’un tratto, il capo di quella ciurmaglia, un arabo con
un’orribile bocca negroide, prese dalla tasca un foglio sudicio e
lo tese al capitano.
Il
foglio recava la firma di Robert Suydam, e conteneva il seguente
messaggio misterioso: Se dovesse capitarmi un incidente improvviso, o
se dovessi morire, vi prego di consegnare il mio corpo senza fare
domande al latore della presente ed ai suoi.
Per
me, ma forse anche per voi, dipenderà tutto dal vostro assenso.
Avrete
chiarimenti successivamente: per adesso non mi tradite.
Robert
Suydam Il capitano ed il medico di bordo si lanciarono uno sguardo
d’intesa, ed il dottore bisbigliò qualcosa all’ufficiale.
Alla
fine rispettarono la richiesta, nonostante fossero molto perplessi, e
guidarono gli stranieri alla cabina di Suydam.
Mentre
quei bizzarri marinai entravano dentro, il medico consigliò al
comandante di voltare la faccia, e si sentì sollevato solamente
quando se ne furono andati tutti, al termine di lunghi preparativi,
con il loro fagotto.
La
salma venne avvolta nei lenzuoli della cuccetta, ed il dottore si
rallegrò che non fosse visibile; gli uomini la calarono giù dalla
murata e la portarono sul loro vapore lasciandola ben coperta.
Il
Cunarder riattivò i motori, ed il medico e il suo assistente
tornarono nella cabina nel caso ci fosse qualche cos’altro da fare.
E
il dottore si vide costretto a tacere di nuovo, perché ciò che era
accaduto aveva del mostruoso.
Quando
il suo aiutante gli domandò perché aveva tolto tutto il sangue al
corpo della signora Suydam, lui non negò di averlo fatto, e non
disse neanche nulla a proposito della sparizione dei flaconi che
avrebbero dovuto trovarsi sugli scaffali, o a proposito dell’odore
che veniva dal lavandino a riprova del fatto che il loro contenuto
originario era stato svuotato velocemente lì dentro.
Le
tasche di quegli uomini – se si potevano considerare tali – erano
stranamente gonfie, quando avevano lasciato la nave.
Due
ore dopo, la radio comunicò al mondo tutto ciò che si poteva sapere
su quel fatto orrendo.
6.
Nella
medesima sera di giugno, Malone, all’oscuro della faccenda del
transatlantico, gironzolava senza meta per i vicoli di Red Hook, in
preda ad un inspiegabile senso di soffocamento.
Nel
quartiere covava un’evidente eccitazione.
Come
se un telegrafo senza fili avesse comunicato loro che era successa
una cosa eccezionale, gli abitanti del posto si erano radunati in
attesa sia davanti alla chiesa divenuta sala da ballo, sia davanti
agli scantinati di Parker Place affittati da Suydam.
Si
erano verificate da poco nuove scomparse di bambini – tre bambini
norvegesi dagli occhi azzurri che abitavano sulla strada per Gowanus
– e a quanto pareva s’era radunata una folla di possenti
“vichinghi” del quartiere in atteggiamento minaccioso.
Erano
settimane che Malone premeva i colleghi affinché dessero una bella
ripulita a quel posto e questi, alla fine, persuasi da fatti molto
più solidi delle semplici supposizioni di un detective visionario
irlandese, si prepararono ad un’azione di forza.
A
farli muovere erano state l’agitazione ed un vaga minaccia che
incombevano quella notte nel quartiere, cosicché, verso mezzanotte,
una squadra d’assalto formata da uomini provenienti da ben tre
distretti di polizia, arrivò in Parker Place sparpagliandosi anche
nei dintorni.
Sfondarono
le porte ed arrestarono i vagabondi, e fuori dalle case illuminate
con le candele si riversarono inimmaginabili orde di stranieri di
ogni razza, in lunghe tuniche ricamate, mitrie e altri costumi
mai visti.
Nella
confusione uscì fuori anche una miriade di stranissimi oggetti.
Gran
parte di questi, purtroppo, venne smarrita in quanto vennero gettati
in tutta fretta in fumaioli dei quali si ignorava l’esistenza.
L’incenso
bruciato copriva, invece, gli odori che avrebbero potuto rivelare
qualche oscura pratica.
Tuttavia,
si trovarono schizzi di sangue ovunque, e Malone rabbrividì nel
vedere un tripode, probabilmente un altare, che emanava ancora del
fumo.
Avrebbe
desiderato avere il dono dell’ubiquità, ma quando gli dissero che
la sala da ballo era vuota, decise per il seminterrato di
Suydam.
Nell’appartamento
– rifletté – doveva essere rimasta qualche traccia del culto cui
si era messo di certo a capo lo studioso di esoterismo.
Allora
si precipitò con ansia in quelle stanze muffite, dove si sentiva un
odore di tomba, e trovò dei volumi curiosi, degli oggetti insoliti,
dei lingotti d’oro e bottiglie con il tappo di vetro sparse alla
rinfusa dovunque.
D’un
tratto, gli passò tra i piedi un magro gatto bianco e nero,
rovesciando un calice che conteneva ancora del liquido rosso.
Malone
rimase terrorizzato, e si interroga tutt’oggi sulla realtà
dell’avvenimento, ma in sogno gli appare in continuazione quel
gatto che fugge, che cambia forma orribilmente, e sembra dotato
di strane facoltà.
Alla
fine arrivò davanti alla cantina: vedendo che l’uscio era chiuso,
cercò qualcosa per forzare la serratura.
Notò
un pesante sgabello: con quello il legno fradicio della porta avrebbe
immediatamente ceduto.
Infatti
spaccò subito un pannello, e poi allargò il buco; in pochi secondi
cedette tutta la porta, crollando, però, come spinta dalla parte
opposta.
In
quella si levò una folata travolgente d’aria fredda, trascinando
con sé tutti gli orrori di quell’abisso senza fondo, dal quale si
sprigionò una potenza risucchiante che non poteva appartenere né al
cielo né alla terra.
Avvinghiandosi
intorno al corpo dell’impietrito detective come una specie di
ventosa senziente, lo attirò sull’orlo della voragine e lo portò
nell’abisso giù con lei, facendolo cadere attraverso spazi
immensi che risuonavano di gemiti, bisbigli e risate
diaboliche.
Lui
sapeva che non era stato un sogno, come volevano fargli credere i
dottori, solo che non poteva dimostrarlo.
Se
lo fosse stato – e quanto lo avrebbe preferito – la vista di
caseggiati decrepiti e di truci facce straniere non gli avrebbe
straziato l’anima.
Ciò
che gli successe, invece, gli parve orrendamente vero, e nulla potrà
mai cancellare dalla sua mente la visione di quelle cripte oscure, di
quei colonnati ciclopici, e di quelle forme titaniche rigurgitate
dagli abissi che venivano avanti a passi lenti, silenziose,
afferrando creature mutilate, divorate a metà, le cui parti ancora
vive imploravano pietà, o che ridevano isteriche dalla pazzia.
Incenso
e putridume si confondevano in un miscuglio di odori pestilenziali, e
il buio si gonfiava di forme nebulose, appena visibili, di
esseri primordiali, senza concretezza alcuna ma dotati di occhi.
Un’acqua
torbida ed oleosa, della quale non si capiva la provenienza,
sciabordava su moli d’onice, ed i rintocchi spaventosi di campane
stonate salutarono l’avvicinarsi di una creatura nuda dalla pelle
fosforescente, che sogghignava e veniva a nuoto verso riva, quindi si
arrampicava, ed infine si accovacciava su un piedistallo d’oro
visibile sullo sfondo.
Strade
di un’oscurità perpetua si stendevano in tutte le direzioni: in
quel luogo fermentava un contagio che avrebbe ammorbato ed
inghiottito tutte le città, appestando le nazioni intere col lezzo
pestilenziale di un morbo ignoto.
I
peccati dell’intero universo si erano concentrati lì e, al pulsare
di crescenti ritmi blasfemi, era iniziata la danza macabra della
morte che avrebbe corrotto tutti gli uomini, fino a degradarli a
fungosità giganti, troppo mostruose persino per essere accolte nei
sepolcri.
Era
lì che Satana apriva la sua corte babelica, e che gli arti lebbrosi
della fosforescente Lilith venivano aspersi col sangue di fanciulli
innocenti.
Incubi
e Succubi innalzavano le loro lodi ad Ecate, e mostri privi di testa
rivolgevano le loro invocazioni alla Grande Madre.
Capri
danzavano ad un ritmo infernale di flauti, e neri avvoltoi andavano a
caccia di fauni deformi, somiglianti a rospi dal ventre gonfio,
braccandoli senza sosta sui dirupi scoscesi.
Neppure
Moloch ed Astaroth mancavano, poiché non esistevano più i
legami con la coscienza nell’essenza stessa della dannazione, e
l’immaginazione umana poteva sbizzarirsi in spettacoli di vario
orrore ed aprirsi su dimensioni proibite plasmate dal potere del
Male.
Il
mondo e la natura non potevano respingere quegli attacchi giunti
dagli abissi notturni che si erano spalancati, e nessun ordine,
nessuna preghiera poteva arrestare quelle oscene orge da Notte di
Valpurga, alle quali era stato un sapiente in possesso della nefanda
chiave a dare inizio, quando aveva trovato la setta in possesso dello
Scrigno di tutte le conoscenze appartenuto ai demoni.
Inaspettatamente,
un raggio di luce rischiarò quel posto spettrale, e Malone udì un
battito di remi risuonare in quel covo di creature infernali che
avrebbero dovuto essere morte e sepolte.
Qualche
minuto dopo, giunse una barca con una lanterna a prua; non appena fu
in vista, si ormeggiò ad un anello di ferro della sporca banchina,
rovesciando a riva numerosi uomini dalla pelle scura che
trasportavano un lungo fagotto in un lenzuolo.
Poi
lo adagiarono davanti all’essere nudo e fosforescente accucciato
sul trono d’oro, e la creatura rise, sfiorando il lenzuolo
con una zampa.
Allora
gli uomini rimossero il lenzuolo e posarono sullo scanno il corpo di
un vecchio corpulento dalla barba sfatta ed i capelli spettinati.
La
creatura fosforescente ridacchiò di nuovo, e gli uomini che erano
venuti avanti, versarono sulle sue zampe il contenuto delle bottiglie
che portavano nelle tasche; quelli che erano rimasti indietro, gli
porsero invece le loro bottiglie perché ne bevesse.
D’un
tratto, da una di quelle strade senza fine, provenne il suono
maledetto e sibillante di un organo, che fece cessare le risate
diaboliche con le sue note basse, gracchianti e lugubri.
In
pochi attimi, tutti gli esseri formicolanti si elettrizzarono, si
unirono fulmineamente in corteo, e sciamarono come un incubo verso la
fonte del suono – era una processione di demoni, satiri, incubi,
succubi e lemuri, rospi ripugnanti ed informi elementali, esseri
ululanti dalla faccia canina e silenziosi abitatori della notte –
seguendo quell’abominazione nuda e fosforescente precedentemente
seduta sul suo scanno d’oro, che adesso avanzava solennemente
portando tra le braccia la salma dallo sguardo vitreo del vecchio.
Gli
ibridi meticci danzavano, mentre il corteo si agitava ed eccitava
nella frenesia di un rapimento estatico.
Malone,
che era lì vicino, osservava come paralizzato, sconvolto e
allucinato, insicuro della propria realtà sia in quello che in un
altro mondo.
Alla
fine girò le spalle, vacillò e cadde come un sacco sulla fredda
pietra; arrancò tremando, mentre quell’organo maledetto seguitava
a gracchiare e le urla ed i battiti di tamburo di quell’assurdo
corteo si allontanavano progressivamente.
Era
cosciente solo parzialmente delle mostruosità salmodianti e degli
odiosi gracidii che udiva in lontananza.
A
tratti, riecheggiando nelle arcate tenebrose, gli giungeva alle
orecchie un gemito o un lamento di quel delirio collettivo, scatenato
dall’orrenda litania in lingua greca da lui letta nella sala da
ballo, che veniva recitata in quel momento: O compagna e amante della
notte, tu che gioisci quando ululano i cani (qui un ululato
spaventoso) ed il caldo sangue è versato (grida morbose, gorgoglii
indescrivibili), tu che vaghi con i fantasmi fra i sepolcri (un
sussurro, forse un sibilo), che hai sete di sangue e trafiggi
con gelido terrore il cuore di mortali (grida acutissime da
cento gole), Gorgo (ripetuto in risposta), Mormo (ripetuto in
estasi), luna dai mille volti (gemiti e suono di flauti), volgi
propizio il tuo occhio sul nostro sacrificio! Al termine del salmo,
si levò un urlo collettivo, ed i sibili delle creature sovrastarono
le note basse e gracchianti dell’organo.
Seguì
un rantolare affannoso che pareva uscire da mille gole, insieme ad
una babele di parole lamentose somiglianti a latrati: “Lilith,
grande Lilith, ecco il tuo Sposo!”.
Altri
ululati, frastuono, e poi i passi cadenzati e svelti di qualcuno che
correva.
Passi
che si avvicinavano, e Malone si alzò sui gomiti per vedere.
La
gigantesca catacomba, che prima era molto buia, venne illuminata da
un chiarore, ed in quella luce infernale apparve un essere vacillante
che in verità non avrebbe dovuto vacillare, né tantomeno sentire e
respirare… era il cadavere dallo sguardo vitreo, livido e
corpulento, del vecchio, perché qualche incantesimo diabolico,
realizzato mediante il rito appena celebrato, lo aveva rianimato.
Gli
veniva dietro ridendo l’essere nudo fosforescente che
precedentemente sedeva sullo scanno e, ad una certa distanza,
seguivano anch’essi di corsa, i meticci e tutta quella massa di
orrende abominazioni.
Il
morto guadagnava terreno sui suoi inseguitori, e pareva protendersi
verso una mèta specifica, perché si stava flettendo con tutti i
muscoli del suo corpo in decomposizione verso quello scranno d’oro,
che doveva avere certamente una grande importanza esoterica.
Il
cadavere raggiunse in poco tempo la mèta, ed intanto la massa
urlante cercava freneticamente di fermarlo.
Ma
ormai era troppo tardi: con un estremo sforzo che gli lacerò tutti i
tendini e che provocò la fuoriuscita della gelatina putrescente di
cui era fatto, il cadavere dallo sguardo vitreo, che un tempo era
Robert Suydam, raggiunse il proprio obiettivo e la vittoria.
Lo
scatto che aveva compiuto aveva richiesto una forza terribile, però
era servito allo scopo: mentre il cadavere si scioglieva in una
chiazza molliccia di putridume, lo scanno che ne aveva subito la
spinta si mosse e vacillò, staccandosi alla fine dal suo piedistallo
d’onice e precipitando nelle torbide acque sottostanti.
Prima
di essere ingoiato dagli insondabili abissi del Tartaro, il suo
oro luccicò per un’ultima volta.
Ed
in quell’istante, davanti agli occhi increduli di Malone, l’intero
teatro degli orrori scomparve nel nulla, e lui svenne, mentre uno
schianto seguito da un boato spazzava via quell’intero universo
del male.
7.
Il
sogno che Malone aveva fatto prima di venir informato della morte di
Suydam e del trafugamento della sua salma, fu accompagnato da altre
circostanze misteriose, anche se nessuno è tenuto a credervi.
I
tre appartamenti di Parker Place, già da tempo in disfacimento, si
schiantarono al suolo senza causa apparente, mentre al loro interno
c’erano ancora molti poliziotti che avevano preso parte all’azione
e diverse persone arrestate: morirono tutti sul colpo.
Solo
chi si trovava in cantina e a pianterreno, riuscì a salvarsi.
Malone
fu fortunato a trovarsi nel sotterraneo del seminterrato di Suydam.
Che
fosse davvero lì, non può negarlo nessuno.
Fu
ritrovato privo di sensi sul bordo di uno stagno nero come la pece,
vicino ad un mucchietto ributtante di ossa e di carne in
putrefazione, nel quale fu riconosciuto successivamente, grazie
all’esame della dentatura, il corpo di Robert Suydam.
Il
caso era risolto; lo stagno era senza alcun dubbio il canale nascosto
utilizzato dai trafficanti di meticci, e la stessa strada seguita
dagli uomini che avevano in custodia il cadavere di Suydam per
riportarlo a casa.
Questi
non vennero mai identificati, e ancor meno ritrovati.
Il
medico di bordo, tuttavia, non è perfettamente convinto delle
semplici spiegazioni date dalla polizia.
Era
chiaro che Suydam doveva essere a capo di una potente organizzazione
di immigrazione clandestina, dal momento che il canale che arrivava a
casa sua era solo uno dei tanti che furono scoperti nei dintorni.
Sotto
la sala da ballo, si trovava un cunicolo che portava dalla sua
abitazione alla cripta della chiesa, alla quale si poteva accedere
unicamente passando per un piccolo passaggio segreto posto nella
parete nord, e nelle cui camere furono rinvenuti alcuni oggetti
insoliti e spaventosi.
Vi
trovarono l’organo gracidante, una cappella con inginocchiatoi di
legno, ed un altare con delle misteriose scritte.
I
muri della cripta comunicavano con delle piccolissime nicchie, in
diciassette delle quali – è arduo raccontarlo – c’erano dei
prigionieri incatenati e ormai preda della follia, dei quali quattro
erano madri con i loro bambini, dall’aspetto spaventoso e deforme.
I
bimbi morirono non appena furono portati all’aperto, un fatto che
in verità fu una fortuna, per loro, a sentire i medici.
Tra
coloro che li esaminarono, nessuno si ricordò della conturbante
domanda posta dal vecchio Delrio: An sint unquam daemones incubi et
succubae, et an ex tali congressu proles enascia queat?.
(8)
Prima di coprirli, i canali furono attentamente dragati, e venne
fuori un numero pazzesco di ossa rotte e segate di ogni dimensione.
Vennero
così spiegati i rapimenti dei fanciulli, anche se fu possibile
incriminare soltanto due persone.
Lo
scanno d’oro di cui Malone aveva parlato più volte non fu mai
ritrovato, sebbene uno dei canali dell’appartamento di Suydam fosse
così profondo da non consentire il dragaggio.
Quando
avevano costruito le cantine dei nuovi appartamenti, era stato
ostruito all’entrata e quindi cementato, ma Malone si chiedeva di
frequente che cosa giacesse mai là sotto.
La
polizia, contenta di aver messo le mani su una pericolosa banda di
trafficanti di meticci, affidò gli adepti curdi della setta Yezidi
degli adoratori del demonio ai federali, visto che non fu possibile
accusarli formalmente di nulla.
Il
vapore e la sua ciurmaglia restarono un mistero, nonostante la
vigilanza continua degli impavidi investigatori che combattono
incessantemente il contrabbando di alcoolici e l’immigrazione
clandestina.
Secondo
Malone, questi investigatori sono troppo pochi, oltre a non essere
sufficientemente motivati a fare luce su numerosi dettagli di quella
vicenda poco chiara.
Inoltre
è prevenuto verso i giornali, poiché misero in risalto solamente il
lato morboso della faccenda e dichiararono che ci si trovava di
fronte ad un piccolo gruppo di sadici, anziché ammettere che si
trattava di un male che minava il cuore stesso dell’universo.
In
tutti i modi, è ben felice di starsene isolato a Chepachet a curare
i nervi, e spera che il tempo releghi nel limbo mitico e pittoresco
dei sogni remoti la sua tremenda esperienza.
Robert
Suydam è seppellito vicino alla moglie nel cimitero di Greenwood.
Nessun
funerale fu celebrato per le sue ossa venute così stranamente alla
luce, ed i parenti si rallegrano della rapidità con la quale
l’intera vicenda venne dimenticata.
I
rapporti tra lo studioso ed i fatti spaventosi di Red Hook non
vennero mai accertati con sicurezza, poiché la sua morte pose fine
all’inchiesta che altrimenti lo avrebbe coinvolto.
La
vera causa del suo decesso è rimasta nel vago, ed i Suydam
preferiscono pensare a lui come ad un eccentrico, dall’animo
sensibile, che si interessava bonariamente di magia e di folklore.
Quanto
a Red Hook, non è affatto cambiato.
Suydam
vi arrivò e se ne andò, ed un morbo malvagio vi nacque e si
spense: ma il tenebroso spirito della notte si aggira ancora tra i
meticci che abitano in quei decrepiti fabbricati di mattoni e tra le
bande criminali.
Quando
passa per caso un visitatore, vengono ancora chiuse le tende delle
finestre, dietro le quali appaiono fugacemente volti torvi e
brillano strane luci.
L’orrore
primordiale è un’Idra dalle cento teste, e i culti delle tenebre
affondano le loro radici in abissi più profondi del pozzo di
Democrito.
Lo
spirito della Bestia è imperituro e vittorioso, e le processioni di
Red Hook – quei giovani dagli occhi velati e dalla faccia rovinata
– seguitano a salmodiare, a peccare e a gridare, mentre sprofondano
di abisso in abisso, verso una meta ignota, spinte da cieche leggi
genetiche che non saprebbero neppure comprendere.
Sono
più quelli che arrivano, di quelli che lasciano Red Hook via terra,
e già si riodono voci echeggiare in nuovi canali sotterranei che
finiscono in certi nascondigli in cui si fa contrabbando di liquori e
di altre cose irripetibili.
La
chiesa è stata adibita a sala da ballo permanente, ed alle sue
finestre, di notte, appaiono loschi figuri.
Ultimamente
un poliziotto ha affermato con sicurezza che la cripta è stata
riaperta per scopi molto poco chiari.
Ma
come si fa a lottare contro morbi più antichi della storia
dell’uomo? Le scimmie, in Asia, danzavano dinanzi a quegli orrori,
e tra i muri di mattoni sconnessi, dove si celano ombre furtive, il
cancro attecchisce e si propaga tranquillo.
Se
Malone ha addosso i brividi, ne ha ben ragione: proprio l’altro
giorno, difatti, un poliziotto ha udito per caso una meticcia dagli
occhi a mandorla insegnare ad un bambino certe parole in dialetto
bisbigliate all’ombra di un cortile.
Tendendo
meglio l’orecchio, gli è parso piuttosto strano che la
vecchia le ripetesse fino alla nausea: O compagna e amante
della notte, tu che gioisci quando ululano i cani ed il caldo sangue
è versato, tu che vaghi con i fantasmi fra i sepolcri, che hai
sete di sangue e trafiggi con gelido terrore il cuore dei mortali,
Gorgo, Mormo, luna dai mille volti, volgi propizio il tuo
occhio sul nostro sacrificio!
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