giovedì 28 gennaio 2016

L'Ultima Risposta (Isaac Asimov)




L'ultima domanda venne posta per la prima volta, quasi per scherzo, il 21 maggio 2061, in un momento in cui l'umanità cominciava a intravedere finalmente un po' di luce. La domanda era il risultato di una scommessa di cinque dollari, nata durante una bevuta, ed ecco come andò la cosa:

Alexander Adell e Bertram Lupov erano due dei fedeli assistenti addetti a Multívac. Sapevano - così come era dato saperlo a due esseri umani - che cosa c'era dietro la fredda, lampeggiante, ticchettante faccia - chilometri e chilometri di faccia - del gigantesco calcolatore. Avevano se non altro una nozione vaga del piano generale di relay e di circuiti che da tempo aveva superato il limite oltre il quale una singola mente umana non poteva assolutamente conservare una chiara visione d'insieme.

Multivac si auto-regolava e si auto-correggeva. Doveva essere così, perché nessun essere umano poteva regolarlo o correggerlo con sufficiente rapidità o in modo adeguato. Così, Adell e Lupov badavano al mostruoso gigante solo in modo leggero e superficiale, e al tempo stesso come meglio non era possibile, trattandosi di uomini. Vi inserivano dati, adattavano le domande alle necessità del calcolatore e traducevano le risposte che questo forniva. Senza dubbio, tanto loro due che gli altri loro colleghi avevano pieno diritto di bearsi della gloria che spettava a Multivac.

Per decenni, Multivac aveva dato una mano, per così dire, a progettare le navi e a calcolare le traiettorie che mettevano in grado gli uomini di arrivare sulla Luna, su Marte e su Venere ma, al di là di quelli, le scarse risorse della Terra non consentivano alle navi di affrontare il viaggio. Troppa energia era richiesta per i lunghi percorsi. La Terra sfruttava le sue riserve di carbone e di uranio con efficienza crescente, ma in sé quelle riserve erano limitate.

mercoledì 6 gennaio 2016

Universo (di Robert A. Heinlein)

Questa è una delle storie più importanti nella storia della fantascienza di ogni tempo. Parla di una enorme astronave i cui abitanti avevano dimenticato chi erano, cosa facevano, e persino la natura della loro esistenza.

UNIVERSO, di Robert A. Heinlein




«Attenzione, c'è un mutante laggiù!»
Al grido d'allarme, Hugh Hoyland si abbassò, raggomi­tolandosi su se stesso. Un proiettile metallico a forma d'uovo colpì la paratia a un centimetro dalla sua testa, ri­schiando di fracassargli il cranio. Hoyland si era piegato con uno scatto tale che i suoi piedi si erano sollevati dalle lastre del pavimento, e prima di toccare di nuovo il suolo spinse energicamente i piedi contro la paratia alle sue spalle, lanciandosi in avanti. Si proiettò in posizione oriz­zontale lungo il passaggio, con il pugnale in mano.
Girandosi in aria, frenò il proprio slancio puntando i piedi contro la paratia metallica, proprio nel punto da cui il mutante lo aveva attaccato, e ricadde lentamente in pie­di. Il restante tratto del passaggio era deserto. I suoi due compagni nel frattempo lo avevano raggiunto, scivolando con strani movimenti lungo il pavimento.
«È fuggito?» chiese Alan Mahoney.
«Sì» rispose Hoyland. «Ho fatto in tempo a veder­lo mentre si infilava in quel boccaporto. Una femmina, direi. Mi è sembrato avesse quattro gambe.»
«Due gambe o quattro, ormai non l'acchiappiamo più» osservò il terzo uomo.
«E chi Huff lo voleva prendere?» protestò Mahoney. «Io no di certo!»
«Ma io sì!» ribatté Hoyland. «Per Jordan, se avesse mirato un centimetro più in basso, adesso sarei già pron­to per il Convertitore.»
«Ma è possibile che nessuno di voi due riesca a dire tre parole senza metterci una bestemmia?» li rimpro­verò il terzo uomo. «E se il Capitano vi sentisse?»
Nel nominare il Capitano si toccò la fronte con un ge­sto di reverenza.
«Oh, per l'amor di Jordan» sbuffò Hoyland «non essere così rigido, Mort Tyler. Non sei ancora uno scien­ziato, in fin dei conti. Credo di essere osservante almeno quanto te... ma non è un peccato mortale dare sfogo ogni tanto ai propri sentimenti. Anche gli scienziati lo fanno. Li ho sentiti con le mie orecchie.»
Tyler aprì la bocca per ribattere, ma ci ripensò e lasciò perdere.
Mahoney prese Hoyland per il braccio.
«Dammi retta, Hugh» lo pregò «andiamocene via di qua. Non ci siamo mai spinti così in alto. Non mi sento tranquillo... Ho bisogno di tornare dove posso sentire un po' di peso sui piedi.»
Hoyland guardò con rimpianto il boccaporto da cui il suo assalitore era scomparso, continuando a stringere l'impugnatura del coltello. Si rivolse quindi a Mahoney.
«D'accordo, ragazzo» disse. «Abbiamo molta stra­da da fare per tornare indietro.»
Si voltò e iniziò a strisciare verso il boccaporto da cui avevano raggiunto il livello dove si trovavano ora; gli altri due lo seguirono. Senza servirsi della scaletta che avevano utilizzato per salire, Hoyland si lasciò cadere nell'apertu­ra, scendendo con un lento ondeggiamento fino al ponte posto cinque metri più sotto, con i due compagni a breve distanza. Un altro boccaporto, poco lontano dal preceden­te, li fece accedere al ponte di un livello ancora inferiore.