domenica 21 giugno 2015

True Detective, seconda stagione

Da stasera andrà in onda la seconda stagione della serie True Detective.




Incipit de "Racconto di Due Città" (Charles Dickens)

Era il tempo migliore e il tempo peggiore, la stagione della saggezza  e la stagione della follia, l’epoca della fede e l’epoca dell’incredulità, il periodo della luce e il periodo delle tenebre, la primavera della speranza e l’inverno della disperazione. Avevamo tutto dinanzi a noi, non avevamo nulla dinanzi a noi; eravamo tutti diretti al cielo, eravamo tutti diretti a quell’altra parte — a farla breve, gli anni erano così simili ai nostri,  che alcuni i quali li conoscevano profondamente sostenevano che, in bene o in male, se ne potesse parlare soltanto al superlativo. Un re dalla grossa mandibola e una regina dall’aspetto volgare sedevano sul trono d’Inghilterra; un re dalla grossa mandibola e una regina dal leggiadro volto, sul trono di Francia. In entrambi i Paesi ai signori dalle riserve di Stato del pane e del pesce era chiaro più del cristallo che tutto in generale andava nel miglior ordine possibile e nel più duraturo assetto del mondo.

sabato 13 giugno 2015

Dagon (Racconto di H.P. Lovecraft)

DAGON


Sto scrivendo queste righe in uno stato di comprensibile tensione, dal momento che prima che scenda la notte, io cesserò di esistere.
In miseria ed senza più scorte di questa droga, che, sola, rende la mia vita sopportabile, non sono in grado di sopportare oltre questa tortura e non posso fare altro che gettarmi da questa stretta finestra giù nello squallore della strada là sotto.
Ma non pensate, a causa della mia schiavitù per la morfina, che io sia un debole o un degenerato.
Quando avrete letto queste pagine così malamente vergate, potrete intuire, anche se non sarete mai in grado di capire veramente, perché io debba, necessariamente, dimenticare o morire.
Fu in una delle parti meno frequentate dell'immenso Pacifico che la nave sulla quale ero imbarcato venne catturata dai corsari Tedeschi. La Grande Guerra era solo all'inizio così che la marina Tedesca non era ancora scesa ai livelli di degradazione che avrebbe raggiunto negli anni successivi, il nostro vascello venne quindi considerato una legittima preda e noi, dell'equipaggio, fummo trattati con estrema correttezza in qualità di prigionieri di guerra. Tanto liberale era, infatti, la disciplina impostaci dai nostri carcerieri che appena cinque giorni dopo la cattura, riuscii a fuggire, da solo, su di una scialuppa nella quale avevo caricato cibo e acqua sufficienti per parecchi giorni.

L'Orrore a Red Hook (Racconto di H.P. Lovecraft)

L'ORRORE A RED HOOK


Siamo circondati da sacri misteri del bene e del male, e viviamo e ci muoviamo in un mondo oscuro, un luogo di tenebre, caverne ed abitatori del crepuscolo.
Talvolta accade che l’uomo si volga indietro sulle tracce della propria evoluzione, ed è mia opinione che esistano segreti paurosi non ancora dimenticati.
ARTHUR MACHEN

1.
Alcune settimane fa, ad un crocevia nel villaggio di Pascoag, nel Rhode Island, un uomo alto e possente, visibilmente in ottima salute, diede mostra di un comportamento strano ed incomprensibile.
Probabilmente era disceso dalla collina, seguendo la strada di Chepachet, ed era arrivato in un quartiere molto popoloso, voltando poi a sinistra per la strada principale, laddove il paese assume un aspetto più metropolitano per via dei suoi innumerevoli, se pur modesti, negozi.
Ed è proprio lì che, senza spiegazione alcuna, l’uomo cominciò a comportarsi stranamente.
Per qualche attimo posò il suo sguardo allucinato sul più alto degli edifici che gli apparivano davanti, e quindi lanciò urli isterici in preda al terrore.
Iniziò poi una corsa sfrenata che si concluse con un’incespicata ed una caduta all’incrocio seguente.
Mani sollecite lo aiutarono a ripulirsi e a rialzarsi, mentre lui sembrava tornato in sé, incolume, e rinsavito dall’improvvisa crisi isterica.
Farfugliando delle scuse, l’uomo cercò di giustificare il proprio  comportamento dicendo che era una conseguenza dello sforzo fisico cui di recente si era sottoposto; quindi, con lo sguardo basso, riprese la strada per Chepachet Road e si allontanò faticosamente e senza mai voltarsi indietro.
Che ciò fosse accaduto ad un uomo così forte, dall’aspetto perfettamente sano e normale, rendeva l’incidente inspiegabile, e la curiosità dei presenti fu ulteriormente stimolata dal fatto che uno degli astanti disse di aver riconosciuto nell’uomo il pensionante di una nota fattoria del circondario di Chepachet.
In seguito si scoprì che l’uomo era un ispettore di polizia di New York, di nome Thomas F.
Malone, in quel periodo in licenza allo scopo di intraprendere una cura rilassante dopo un periodo di superlavoro richiestogli dalla risoluzione di un caso tremendo, avvenuta in circostanze drammatiche.
Durante l’azione da lui capeggiata, si era verificato il crollo di numerosi palazzi di mattoni, e lui era rimasto traumatizzato da qualcosa che era in relazione con la morte di un numero esorbitante di vittime travolte dalle macerie, tra le quali si annoveravano anche alcuni suoi colleghi.
In conseguenza dell’accaduto, era caduto preda di una tremenda paura, la quale lo attanagliava alla vista di qualsiasi edificio che somigliasse anche lontanamente ai fabbricati crollati, sicché alla fine alcuni esperti di malattie mentali gli avevano proibito, almeno per un lungo periodo, la vista di costruzioni del genere.
Un medico della polizia, che aveva dei parenti a Chepachet, gli aveva suggerito di andare per un po’ in vacanza in quell’antico borgo coloniale, e lì Malone si era recato, ripromettendosi di non spingersi mai in centri più grandi, dove esistevano quegli edifici di mattoni la cui vista gli era stata proibita dallo specialista di Woonsocket che lo aveva in cura.
Fare una passeggiata fino a Pascoag per acquistare dei giornali  si era rivelato fatale, ed il convalescente aveva pagato la propria disobbedienza al prezzo del terrore, dell’umiliazione e di diverse ammaccature.
Ciò è quanto raccontavano le comari di Chepachet e di Pascoag  e quello che i medici sostenevano.
In realtà, Malone, inizialmente aveva raccontato molto di più ai medici, ritrattando le proprie dichiarazioni soltanto quando aveva constatato la crescente incredulità che queste suscitavano.
Da allora aveva imparato a tenere la cosa per sé, senza contraddire tutti coloro che ritenevano che il crollo di certi tristi fabbricati di mattoni di Red Hook e di Brooklyn, in cui erano morti tanti bravi poliziotti, avevano sconvolto la sua psiche.
Gli rimproveravano di aver speso troppe energie nel tentativo di ripulire quei covi di disordine e di violenza; a dire la sincera verità, certi particolari della vicenda erano già stati piuttosto sconcertanti per lui, e l’improvvisa tragedia gli aveva dato soltanto il colpo di grazia.
Si trattava di una spiegazione molto semplice e facilmente accettabile e, poiché Malone non era uno stupido, comprese che era il caso che la confermasse anche lui.
Raccontare a gente senza immaginazione di un orrore che trascendeva la comprensione umana – l’orrore di caseggiati, città e quartieri putridi e malsani, infettati da un male proveniente da mondi più antichi avrebbe provocato soltanto il suo confinamento in una stanza dalle pareti ovattate, di gran lunga peggiore della sua camera in una tranquilla casetta di campagna.
E Malone, a dispetto del suo misticismo, aveva ancora del buon senso.
Possedeva la facoltà tutta celtica di percepire da lontano tutto ciò che vi è di occulto e magico, ma anche l’occhio acuto del logico che scarta quanto non è convincente.
Nei suoi quarantadue anni aveva visitato luoghi bizzarri, inusuali per un laureato all’università di Dublino, nato in una villa georgiana dalle parti di Phoenix Park.
E adesso, mentre rivisitava con la memoria le cose viste, udite ed apprese, era contento di non aver trasmesso a nessuno il segreto che poteva fare di un uomo impavido un nevrotico tremante; il segreto che riusciva a trasformare in un incubo e in un evento soprannaturale fatiscenti caseggiati di mattoni e frotte di facce scure e sottili.
A volte accadeva che le sue percezioni non trovassero poi una spiegazione razionale, visto che il suo stesso tuffarsi nei bassifondi multirazziali del mondo sotterraneo di New York era stato solo il frutto di un capriccio.
Che cosa sapeva lui dell’esistenza di antiche stregonerie ed arcani misteri, che il suo occhio acuto individuava nel calderone delle nefandezze in cui la feccia di secoli di immoralità faceva ribollire il proprio veleno, tramandando i suoi orrori blasfemi? In quel guazzabuglio assordante e caotico di avidità esteriore e di vizio interiore, lui aveva visto ardere la fiamma verde e diabolica dei più arcani misteri, ed aveva risposto con un sorriso condiscendente all’irrisione di tutti i newyorkesi di sua conoscenza di fronte alla sua decisione di entrare in polizia.
Con cinismo e perfido divertimento, avevano deriso quella sua mania di misteri soprannaturali e inconoscibili, assicurandogli che a New York, di quei tempi, non si trovavano che mediocrità e bassezza.
Tra di loro, uno aveva anche scommesso una forte somma che Malone, nonostante la reputazione acquisita con i suoi articoli sulla Dublin Review, non avrebbe mai scritto una storia decisamente interessante sui bassifondi di New York.
Adesso, ripensando al passato, sentiva che l’ironia dell’universo,  pur confutando segretamente il significato beffardo delle affermazioni di quei profeti, al tempo stesso dava ragione alle loro parole.
L’orrore, visto nella sua più profonda essenza, non poteva essere il fondamento di una storia, in quanto, come dice l’autore tedesco citato da Poe, es lasst sich nicht lesen: non si lascia leggere.
2.
Malone avvertiva che il mistero latente nell’esistenza era sempre presente.
Da giovane sapeva recepire la bellezza insita nelle cose, e si sentiva un poeta.
In seguito la povertà, la sofferenza e l’esilio, avevano allontanato la sua attenzione, portandolo in una strada più oscura, e lui aveva avvertito un brivido nel percepire il male che circondava il mondo.
La vita quotidiana si presentava per lui come una fantasmagoria di terribili segreti, che talvolta brillavano tra la corruzione nascosta, come nei più suggestivi disegni di Beardsley, e talvolta adombravano terrori presenti dietro cose ed oggetti banali, come accade  nell’opera più ricercata e sensibile di Gustave Doré.
A volte riteneva una benedizione che le persone molto intelligenti spesso deridessero i misteri più profondi, poiché altrimenti – pensava – se gli intelletti superiori si fossero messi ad indagare nei segreti di culti atavici e tenebrosi, le stranezze che ne sarebbero scaturite avrebbero minacciato il nucleo stesso dell’universo.
Questo tipo di riflessioni avevano certamente qualcosa di morboso, ma allo stesso tempo evidenziavano una logica penetrante ed un profondo senso dell’ironia.
Malone lasciava che i suoi presentimenti restassero intuizioni proibite, e l’isterismo si fece strada in lui solo allorquando il dovere lo catapultò in un abisso di rivelazioni così insidiose e subitanee, da non lasciargli scampo.
Da tempo si interessava al caso della stazione di Butler Street a Brooklyn, quando venne a conoscenza della faccenda di Red Hook.
Red Hook è un agglomerato di sordide miserie a ridosso del vecchio porticciolo, di fronte a Governor’s Island, con strade luride e pontili che si inerpicano verso la collina fino a raggiungere la parte alta, laddove le strade dissestate di Clinton Street e Court Street si snodano in direzione di Borough Hall.
I caseggiati, prevalentemente in mattoni, furono costruiti tra il 1915 ed il 1920, ed i vicoli e le stradine meno illuminati rievocano un piacevole sapore di antico che si può definire “tipicamente dickensiano”.
La popolazione, costituita da una massa di disperati, è un vero enigma: ci sono siriani, spagnoli, italiani, negri, che si danno fastidio reciproco, ed un po’ più separati dalle altre razze, invece, vivono piccoli gruppi di scandinavi ed americani.
Il quartiere è una babele di rumori e di sudiciume, ed emette misteriosi lamenti in risposta allo sciacquio delle onde bituminose che si infrangono sui fetidi moli, e alle orrende nenie intonate dalle sirene delle navi.
In questo quartiere, in passato, lo scenario era molto più ameno: marinai dagli occhi azzurri passeggiavano lungo i viottoli della parte bassa, e villette benestanti di buon gusto si ergevano dove adesso i caseggiati costeggiano la collina.
Anche oggi si possono ritrovare tracce di quella tramontata serenità nello stile armonioso degli edifici, nelle minute chiesette che spuntano qua e là, in alcuni esempi di arte urbana ed in certi particolari, ad esempio una scalinata consunta dal tempo, un portone decorato, un paio di colonne pericolanti, un ultimo ritaglio di prato dove rimangono ancora vecchi corrimano  contorti e rugginosi.
Di norma, le case sono costruite in grossi blocchi di mattoni, ed ogni tanto, tra le miriadi di finestre, spunta una guglia che ricorda quei tempi in cui le famiglie dei capitani e dei proprietari di navi contemplavano il mare.
Questo amalgama di putridume materiale e spirituale, scagliava contro il cielo bestemmie pronunciate in cento dialetti diversi.
La gente brulicava sia nei vicoli interni che nelle strade principali; mani furtive smorzavano all’improvviso le luci ed oscuravano le finestre; facce colpevoli e fosche si allontanavano dai vetri non appena si avvicinava qualche turista.
I poliziotti avevano perso la speranza di ripristinare l’ordine e ristabilire la legge, e cercavano più che altro di porre delle barriere che proteggessero il mondo esterno dall’infezione di quei posti.
Il rumore dei passi delle pattuglie trovava eco in un silenzio di tomba, e la gente, quando veniva arrestata, non parlava mai.
La gamma degli illeciti variava come i dialetti, dal furto di rum e dall’immigrazione clandestina, a diversi generi di vizi e di gravi infrazioni alla legge, nonché all’omicidio e la mutilazione nelle forme più orrende.
Che si trattasse di reati sporadici, nessuno di quelle parti lo credeva, e non era cosa che deponesse a favore della comunità, a meno che l’arte di compiere crimini di nascosto non venga considerata ammirevole.
La gente che arrivava a Red Hook, era molto più numerosa di quella che se ne andava – che se ne andava, perlomeno, via terra – e  queste ultime persone, probabilmente, erano quelle che parlavano di meno.
Questa situazione appariva piuttosto misteriosa a Malone, ed egli intuiva l’esistenza di segreti molto più spaventosi dei crimini denunciati dai cittadini, e condannati dalla chiesa e dai moralisti.
Poiché univa all’immaginazione la metodicità scientifica, era conscio del fatto che l’uomo moderno, quando non esistono leggi, tende costantemente a sfogare gli istinti più tenebrosi, che risalgono ai nostri scimmieschi primitivi antenati, e nella vita ordinaria, e nelle manifestazioni di culto.
Molte volte aveva visto, con l’eccitazione dell’antropologo, le processioni cantilenanti e blasfeme di quei giovani dalla faccia rovinata e dallo sguardo torbido che si snodavano per le strade alle prime ore del giorno.
Era molto frequente incontrare gruppetti di quei giovani: a volte all’erta all’angolo della strada, a volte di fronte ai portoni delle case a suonare musiche incomprensibili con strumenti rimediati chissà dove, altre volte ancora in ozio o impegnati in discussioni volgari ai tavoli dei caffè intorno a Borough Hall, oppure intenti a bisbigliare qualcosa a luridi tassì in sosta sotto gli alti balconi di catapecchie in disfacimento e tenute ben chiuse.
Malone era inorridito ed allo stesso tempo attratto da questi individui più di quanto desse a vedere ai colleghi, in quanto credeva di percepire in loro l’orrida minaccia di una continuità nascosta, un qualche piano infernale, insondabile e primitivo, acquattato sotto quell’insieme di avvenimenti turpi, consuetudini ed incontri che la polizia aveva registrato accuratamente.
Lui intuiva che in qualche modo perpetuavano un culto selvaggio ed osceno, retaggio di pratiche e rituali più antichi  dell’umanità stessa.
La loro assiduità e comunanza di scopi, e  l’impensabile ordine celato dietro il loro apparente disordine, sembravano confermare questo suo sospetto.
Non era a caso che aveva letto trattati come Il culto della Stregoneria nell’Europa Occidentale, della Murray , e sapeva che, fino a pochi anni prima, esisteva di sicuro nelle campagne una confraternita che si riuniva in segreto e praticava orge collegate a certe religioni antichissime ed oscure più antiche della stessa cultura ariana, le quali si ritrovavano nelle leggende popolari con l’appellativo di Messe Nere e Sabba delle Streghe.
Malone non poteva convincersi che queste sopravvivenze diaboliche di riti di magia e di fertilità di antica provenienza euroasiatica si fossero estinti del tutto: anzi, sovente si chiedeva se queste pratiche non fossero addirittura più ataviche ed anche più tenebrose delle peggiori pratiche superstiziose note all’uomo.
3.
Malone fu condotto negli abissi di Red Hook dal caso di Robert Suydam.
Suydam veniva da un’antica famiglia olandese, era un uomo di cultura dai discreti mezzi finanziari, e viveva in un’abitazione piuttosto grande ma poco curata costruita dal nonno a Flatbush, quando il villaggio era formato soltanto da un pugno di semplici villette in stile coloniale.
Quelle case si erano andate raggruppando intorno alla Chiesa Riformata, il cui edificio, interamente coperto dai rampicanti, ospitava un campanile, ed era protetto da una recinzione in ferro nel cui prato gli olandesi seppellivano anticamente i defunti.
Nella sua solitaria abitazione, che si estendeva da Martense Street lungo un terreno cintato da vecchie piante, Suydam aveva passato oltre sessant’anni a leggere e riflettere, tranne per un periodo di otto anni, la generazione prima, in cui era andato per mare nel Vecchio Mondo.
Non aveva i mezzi per tenere la servitù, e lasciava che solo pochissimi visitatori turbassero il suo eremitaggio.
Schivava le amicizie profonde ed accoglieva i rari conoscenti in una delle stanze a pianterreno che puliva lui stesso, nella quale aveva sistemato una spaziosa biblioteca che arrivava fino al soffitto, i cui scaffali erano gremiti di libri consunti  dall’aspetto imponente, vetusto e persino leggermente ripugnante.
L’espansione della città fino al distretto di Brooklyn aveva avuto poca importanza per Suydam, e l’esistenza di Suydam aveva sempre meno importanza per la città.
Gli anziani ancora lo riconoscevano, quando l’incontravano, ma per tutti gli altri era solo un eccentrico vecchio corpulento, e non degnavano che di un’occhiata divertita i suoi capelli canuti e spettinati, la sua barba ispida, i suoi vestiti neri e lisi, ed il suo bastone dal pomello d’oro.
Quando il dovere lo portò al suo caso, Malone non lo aveva mai visto di persona, sebbene ne avesse sentito parlare da altri come di una grossa autorità in fatto di superstizioni popolari, ed una volta aveva consultato un suo opuscolo da tempo fuori stampa, concernente argomenti quali la Kabbalah e la leggenda di Faust.
Gli era stato citato a memoria da un suo amico.
Si parlò per la prima volta del “caso” Suydam quando i suoi unici e distanti parenti richiesero al tribunale una perizia  psichiatrica.
Sebbene la loro azione legale fosse apparsa agli estranei alquanto improvvisa, venne intentata, in realtà, dopo una lunga osservazione dell’uomo ed una spiacevole discussione su di lui.
I parenti motivavano la richiesta adducendo a riprova alcuni cambiamenti nei suoi discorsi e nelle sue abitudini: faceva, infatti, allusioni folli a misteri che incombevano sul mondo, e gli era venuta un’assurda mania di persecuzione verso gli abitanti del confinante quartiere di Brooklyn.
Negli anni, Suydam si era lasciato sempre più andare, ed ora se ne andava in giro addirittura come uno straccione.
Talvolta si aggirava nelle stazioni della metropolitana, dove veniva visto da amici che si vergognavano di salutarlo, oppure se ne andava a curiosare sui moli, dalle parti di Borough Hall, dove chiacchierava con gente sconosciuta dalla faccia poco raccomandabile.
Quelle poche volte che parlava, farneticava di poteri illimitati che aveva in mano sua, o mormorava, con uno sguardo allusivo, parole e nomi misteriosi come “Sephiroth”, “Ashomodai”, “Samael”.
Il tribunale scoprì, dopo un’accurata indagine, che stava dilapidando tutto il patrimonio nell’acquisto di certi libri molto rari provenienti da Londra e da Parigi, e che sciupava altri soldi per l’affitto di un sordido seminterrato di Red Hook, dove passava quasi tutte le notti ad incontrarsi con gruppetti equivoci di stranieri e di individui poco raccomandabili, e dove, dietro le imposte verdi delle finestre ben serrate, veniva praticato – era questo il sospetto – qualche strano rito religioso.
Gli investigatori incaricati di pedinarlo dicevano che quelle celebrazioni notturne erano accompagnate da misteriose grida, canti sconosciuti e strani trapestii, e tremavano al solo pensiero di simili follie estatiche ed esaltazioni, sebbene fosse risaputo che da quelle parti la celebrazione di turpi rituali era pratica comune.
Quando fu chiamato a spiegare questi fatti, Suydam fu bravissimo,  e venne prosciolto.
Al giudice si mostrò un uomo sensato ed equilibrato; riconobbe di essersi comportato in modo insolito e di aver detto delle stravaganze, ma era tutto per colpa del suo eccessivo impegno di studioso e di scienziato.
Sostenne, inoltre, di essere tutto preso da una ricerca su certe tradizioni europee, la cui natura particolare richiedeva uno stretto contatto  con etnie straniere, al fine di poterne studiare i canti e le danze folkloristiche.
Dichiarò infondata l’accusa dei suoi  parenti, i quali affermavano che era stato plagiato da una setta occulta, e si lamentò, inoltre, della loro totale ignoranza circa il suo lavoro.
Avendo dato queste spiegazioni convincenti, poté andarsene via liberamente, e gli investigatori assunti dai Suydam, dai Corleans  e dai Van Brunts furono licenziati fra la disapprovazione generale.
Fu allora che si stabilì una collaborazione congiunta tra gli ispettori federali e la polizia – di cui Malone faceva parte – per indagare su alcuni interrogativi lasciati aperti dal caso.
La polizia si era interessata alla vicenda creata dai parenti di Suydam, e gli investigatori privati le si erano rivolti diverse volte.
In virtù di questi contatti, uscì fuori che tra i nuovi amici di Suydam c’erano alcuni dei criminali più duri di Red Hook, e che almeno un terzo delle persone che frequentava era già stato arrestato dalla polizia per furto abituale, zuffe ed immigrazione clandestina.
In verità, non era eccessivo affermare che la cerchia d’amicizie  dello studioso coincideva perfettamente con le peggiori bande criminali, responsabili dell’arrivo sulla costa di certa feccia asiatica, priva di documenti ed impossibile da identificare, che era stata saggiamente respinta dagli uffici di Ellis Island.
Nel decrepito e sovrappopolato caseggiato di Parker Place cui in seguito venne cambiato nome – dove Suydam aveva preso il suo seminterrato, si era ammucchiata un’autentica colonia di una razza dai tipici tratti somatici e dai caratteristici occhi di taglio obliquo, la cui lingua era l’arabo e che era stata immediatamente emarginata dalla comunità siriana che abitava in Atlantic  Avenue e nella zona limitrofa.
Per legge sarebbe stato possibile rispedirli tutti in patria, dal momento che non avevano documenti, ma si sa che la burocrazia è lenta… e non si va a stuzzicare Red Hook, quando non è strettamente necessario.
Questa gente si riuniva in una chiesa sconsacrata che ogni giovedì si trasformava in sala da ballo, la cui struttura gotica si stagliava nella parte più squallida del molo.
Ufficialmente era una chiesa cattolica, ma nessun prete a Brooklyn ne riconosceva l’esistenza, e persino i poliziotti si trovarono d’accordo, quando udirono i rumori che di notte venivano dall’interno.
Malone aveva spesso l’impressione di sentire le lugubri note basse e sostenute di un organo sotterraneo, quando la chiesa era vuota e con le luci spente, e i fedeli tremavano nel sentire i battiti di tamburo che accompagnavano le celebrazioni aperte al pubblico.
Durante l’interrogatorio, Suydam affermò che quel rituale, secondo lui, era una sopravvivenza di cristianesimo nestoriano con influenze di sciamanismo tibetano.
Congetturò che quella gente appartenesse ad una razza mongola proveniente dal Kurdistan  o dalle regioni vicine, e a quel punto Malone non poté evitare di ricordare che il Kurdistan era la terra degli Yezidi, gli ultimi discendenti, in Persia, degli adoratori del demonio.
In qualunque modo stessero le cose, l’indagine iniziata con il caso Suydam rivelò che questi nuovi immigrati affluivano a Red Hook in numero crescente.
Riuscivano ad entrare per via della complicità di alcuni marittimi il cui modo d’agire non era ancora noto né alla polizia, né alla guardia portuale; superavano quindi Parker Place e si sparpagliavano velocemente sulla collina, subito accolti dagli altri abitanti del quartiere per via di uno strano fraternalismo.
I loro corpi tozzi e i loro caratteristici lineamenti prognati, in strano contrasto con gli abiti americani, si vedevano sempre più numerosi a Borough Hall, amalgamandosi con i fannulloni ed i ladruncoli del quartiere.
Infine venne ritenuto necessario un censimento, per accertare la loro provenienza e la loro occupazione conducendoli all’Ufficio Immigrazione.
Per via di un accordo tra federali e polizia, fu Malone ad assumere questo incarico, con il compito di escogitare un sistema atto a censire quella gente mediante un coordinamento di forze.
Nel momento in cui accettava l’incarico, Malone ebbe la sensazione  di essere sospinto verso una voragine di orrori inesprimibili, sui quali si stagliava il viscido Robert Suydam nel ruolo di arci-diavolo ed acerrimo nemico.
4.
Spesso la polizia utilizza metodi inconsueti ed astuti.
Passeggiando senza dare nell’occhio, origliando certe conversazioni fortuite, offrendo al momento debito il liquore che portava nella tasca posteriore dei calzoni, e ponendo alcune  domande mirate a prigionieri intimoriti, Malone riuscì a sapere numerosi particolari su quel misterioso ed allarmante via vai di gente.
I nuovi arrivati erano curdi veramente, ma il loro dialetto era così curioso, che neppure il filologo più esperto era riuscito ad identificarlo.
Qualcuno si procurava da vivere come scaricatore di porto clandestino, o come ambulante, ma quelli della loro razza li si vedeva assai di frequente nei ristoranti greci, o dietro alle  edicole agli angoli delle strade.
Gran parte di loro, in ogni modo, non era in grado di provvedere al proprio sostentamento: da qui la supposizione che svolgessero per forza delle attività illecite.
Tra queste, il furto ed il contrabbando di liquori erano i crimini meno disgustosi.
Li avevano portati delle vaporiere che assomigliavano più che altro a vecchie navi merci, e il loro sbarco era avvenuto di notte, quando non c’era la luna, mediante barche a remi che partivano da un molo designato e risalivano un canale nascosto che conduceva ad uno stagno sotterraneo sotto le fondamenta di una casa.
Malone non fu in grado di trovare né il molo, né il canale, né l’edificio che copriva lo stagno, in quanto i suoi informatori, oltre a ricordare poco, parlavano un dialetto che neppure il miglior traduttore avrebbe potuto decifrare.
D’altro canto, non raccolse neppure informazioni attendibili quanto ai motivi di quelle numerose immigrazioni clandestine.
Alla domanda da dove venissero, gli informatori diventavano reticenti, e non si sbottonavano mai sino al punto di rivelare il nome di chi li aveva contattati ed aveva provveduto alla loro immigrazione.
Al contrario, quando gli venivano chieste le  ragioni del loro arrivo, si lasciavano prendere dal panico.
Anche delinquenti di altre etnie si dimostravano poco loquaci, e l’unica cosa che si venne a sapere con certezza fu che erano stati promessi loro – o da un dio, o da una potente confraternita religiosa – poteri mai immaginati, premi spirituali ed il possesso di un paese ignoto.
L’affluenza di nuovi adepti e brutte facce già note a quegli incontri notturni nello scantinato di Suydam, era regolare e continua, e la polizia scoprì molto presto che lo studioso aveva affittato altri appartamenti per accogliere questi nuovi amici a conoscenza della parola d’ordine.
Alla fine erano diventati tre i caseggiati da lui affittati, dove molte delle sue insolite conoscenze trovarono una sistemazione definitiva.
A Flatbush si recava ormai molto di rado e, a quanto sembrava, solo a prendere e poi riportare certi volumi.
Aveva assunto un’espressione ed un contegno estremamente eccentrici.
Malone riuscì a parlargli due volte, ma venne congedato in tutta fretta in entrambe le occasioni dal vecchio olandese.
Lui non ne sapeva nulla – così aveva dichiarato Suydam – di trame o movimenti loschi, e non aveva la più pallida idea su come i curdi fossero arrivati, né tantomeno di cosa volessero.
Come ricercatore, si limitava a studiare – sperando di essere lasciato in pace – il  folklore dei gruppi etnici che si erano insediati nel quartiere, e di sicuro questa sua attività non poteva interessare in alcun modo la polizia.
Malone gli fece i complimenti per il vecchio opuscolo da lui scritto sulla Kabbalah ed altri miti, ma il vecchio lo guardò con simpatia soltanto per pochi secondi.
La sua intimità era stata violata, e fu talmente scortese con il poliziotto, che Malone se ne andò tutto infuriato, decidendo di ricorrere ad altri canali d’informazione.
Quello che Malone avrebbe potuto scoprire, se gli avessero dato la possibilità di approfondire ulteriormente il caso, non potremo mai saperlo.
Una sciocca divergenza tra la polizia ed i federali, bloccò l’indagine per alcuni mesi, nel corso dei quali l’ispettore fu preso da altri incarichi che lo assorbirono completamente.
Eppure il suo interessamento alle attività di Robert Suydam non era cessato, e continuò a stupirsi per quello che gli stava accadendo.
In coincidenza con tutta una serie di scomparse e di rapimenti di bambini, che avevano sconcertato New York, nel trasandato studioso erano avvenuti dei cambiamenti eccezionali ed incredibili: lo avevano visto dalle parti di Borough Hall con la barba perfettamente rasata, con i capelli ben acconciati, e con un abito bianco di eccellente fattura.
Di fatto, ogni giorno che passava, migliorava nell’aspetto inspiegabilmente.
Era sempre curato, ma adesso aveva anche uno strano luccichio negli occhi; parlava meglio, ed aveva iniziato a perdere quell’eccesso di peso che lo aveva reso goffo così a lungo.
Sembrava ringiovanito.
Aveva acquistato agilità nel passo e disinvolta allegria nei modi, ed i suoi capelli erano tornati nuovamente neri nonostante non ricorresse a tinte.
Con il passare dei mesi, Suydam cominciò a sfoggiare vestiti sempre più raffinati e, alla fine, stupì tutti i suoi amici ammodernando e ritinteggiando la casa di Flatbush, dove tenne numerosi ricevimenti ai quali invitò tutti i suoi conoscenti, parenti compresi, accogliendo questi ultimi con il sorriso nonostante avessero tentato di farlo rinchiudere in manicomio.
Alcuni parteciparono per curiosità, altri per dovere: ma tutti rimasero esterrefatti dalla cortesia e dalle buone maniere di quello che si giudicava un inguaribile eccentrico.
Suydam annunciò a tutti di aver finalmente concluso il lavoro che si era prefisso e che, avendo ereditato da poco i beni di un suo defunto amico in Europa, del quale si era praticamente scordato, intendeva trascorrere i suoi ultimi anni come se stesse vivendo una seconda primavera, perché una maggiore cura della propria persona, il riposo e la dieta gli avevano restituito la giovinezza.
Le sue visite a Red Hook divennero sempre più rare, ed invece cominciò a frequentare la buona società cui apparteneva per estrazione sociale.
I poliziotti notarono nel contempo un cambiamento nelle abitudini dei delinquenti che, anziché riunirsi nello scantinato di Parker Place, presero ad incontrarsi nella chiesa sconsacrata adibita a sala da ballo, anche se gli edifici della zona che Suydam aveva affittato non erano stati ancora ripuliti dagli elementi sospetti.
In seguito due avvenimenti, forse collegati, suscitarono molto interesse in Malone.
Il primo fu l’annuncio, pubblicato sull’Eagle, del fidanzamento di Robert Suydam con la signorina Cornelia Gerritsen di Bayside, una giovane di ottima posizione sociale e lontana cugina dell’anziano professore.
Il secondo fu l’irruzione della polizia nella sala da ballo, in seguito alla segnalazione di qualcuno che aveva visto dalle finestre a pianterreno uno dei bambini rapiti.
Malone aveva voluto far parte dell’azione e, quando era entrato  all’interno, aveva esaminato scrupolosamente il posto.
Non si trovò nulla – non c’era anima viva – ma il suo sesto senso di celta gli comunicò che c’era qualcosa di strano, lì dentro.
L’ex chiesa era ornata da dipinti di una tale rozzezza, da disturbarlo intimamente; raffiguravano volti di santi dall’espressione  palesemente mondana e crudele, ed in certi punti indugiavano in atteggiamenti così equivoci che riuscivano ad offendere persino un laico.
In particolare, Malone fu turbato da un’iscrizione in greco apposta sulla parete di fronte al pulpito, che descriveva un antico incantesimo a lui noto fin dall’epoca dell’università a Dublino il quale, nella traduzione letterale, recitava così: O compagna e amante della notte, tu che gioisci quando ululano i cani ed il caldo sangue è versato, tu che vaghi con i fantasmi fra i sepolcri, tu che hai sete di sangue e trafiggi con gelido terrore il cuore dei mortali, Gorgo, Mormo, luna dai mille volti, volgi propizio il tuo occhio sul  nostro sacrificio! Nel leggere quell’epigrafe (4), Malone rabbrividì, e ripensò vagamente alle basse e sostenute note d’organo, che gli era parso di udire nella chiesa durante alcune notti, provenienti dal sottosuolo.
Un nuovo brivido lo prese osservando la ruggine o comunque le chiazze brune, che incrostava il bordo di un bacile di metallo lasciato sull’altare e, quando avverti un lezzo micidiale esalare lì vicino, fu agitato da un improvviso nervosismo.
Stava di nuovo pensando all’organo.
Prima di uscire, esaminò attentamente il seminterrato.
Quel luogo gli risultava insopportabile, ma quei dipinti e quelle epigrafi blasfeme, non erano in fondo il semplice frutto dell’ignoranza di gente superstiziosa? Quando Suydam aveva annunciato il proprio matrimonio, si era verificata una vera ondata di rapimenti di bambini che aveva sconvolto l’intera città.
In maggioranza si trattava di bambini poveri, ed il numero crescente delle scomparse aveva scatenato un vero furore.
I giornali chiedevano l’intervento della polizia, e il distretto di Butler Street inviò nuovamente i suoi uomini a Red Hook, ad indagare ed acciuffare i responsabili.
Anche Malone partecipò all’azione, distinguendosi per valore in un’irruzione dentro uno degli appartamenti di Parker Place affittati da Suydam.
Sul posto non c’era traccia di bambini rapiti, anche se qualcuno aveva sentito pianti ed urla, e sebbene fosse stata trovata una sciarpa rossa nei dintorni.
Ma i dipinti e le epigrafi blasfeme che si vedevano sulle pareti, ed il rudimentale laboratorio chimico trovato in soffitta, convinsero l’ispettore di essere sulle tracce di qualcosa di tremendo.
Quei dipinti erano spaventosi: raffiguravano mostri orrendi di varia forma e grandezza, che scimmiottavano l’uomo in maniera  grottesca e indescrivibile.
Le iscrizioni erano in rosso, e scritte in diverse lingue: arabo, greco, latino ed ebraico.
Malone non poté decifrarle tutte, ma da quello che capì, doveva trattarsi di formule misteriche e cabalistiche.
Una frase in greco ellenistico ebraicizzato, ritornava sistematicamente, e ricordava le più tremende invocazioni ai demoni risalenti alla tarda epoca alessandrina: HEL – HELOYM – SOTHER – EMMANVEL – SABAOTH – AGLA – TETRAGRAMMATON –  AGYROS – OTHEOS – ISCHYROS – ATHANATOS – IEFIOVA – VA – ADONAI – SADAY –  HOMOVSION – MESSIAS – ESCHEREHEYE (5) Inoltre, vi erano ovunque circoli e pentagrammi, di certo espressione delle misteriose credenze di quelli che abitavano in quel sudicio stabile.
Ad ogni modo fu in cantina che venne rinvenuta la cosa più bizzarra: una montagna di autentici lingotti d’oro, nascosti da un telo, che recavano incisi gli stessi caratteri criptici disegnati sulle pareti.
Al momento dell’irruzione, la polizia trovò debole resistenza da parte di quegli strani orientali, che uscivano dalle stanze come mosche.
Dal momento che non venne scoperto nulla di rilevante, si dovette lasciare tutto così com’era, ma il comandante del distretto inviò a Suydam una nota in cui lo avvertiva di scegliere con più cura i propri inquilini e protetti, perché la gente cominciava a mormorare seriamente.
5.
In giugno, ebbe luogo il matrimonio più sensazionale dell’anno.
A mezzogiorno, Flatbush era tutto in festa; le stradine intorno alla vecchia chiesetta olandese erano state invase da automobili imbandierate: un corteo continuo dall’ingresso alla carreggiata.
A Flatbush non ci fu mai più un evento così fastoso ed importante come il matrimonio Suydam-Gerritsen; gli ospiti che accompagnarono gli sposi fino al molo di Cuniard uscivano tutti dal meglio della buona società.
Alle cinque, la coppia aveva già salutato amici e parenti, ed il magnifico transatlantico sul quale si erano imbarcati si stava staccando lentamente dal porto.
Quando ebbe volto la prua verso il mare aperto, scivolò sugli spazi sterminati dell’oceano, diretto ai fasti del Vecchio Mondo.
A notte doppiò il porto esterno e i passeggeri rimasti ancora alzati poterono ammirare lo sfavillio delle stelle sull’oceano incontaminato.
Nessuno saprà mai se fu prima la vecchia vaporiera oppure l’urlo, a richiamare l’attenzione di tutti.
è molto probabile che gli eventi furono simultanei, ma non potremo mai stabilirlo con sicurezza.
L’urlo proveniva dalla cabina di Suydam.
Il marinaio che abbatté l’uscio a spallate avrebbe potuto rivelare cose sconvolgenti,  se solo non fosse uscito di senno.
Strillò invece, anche più forte delle vittime, e dopo si mise a correre impazzito per tutta la nave finché non fu preso ed immobilizzato.
Il medico di bordo che entrò nella cabina pochi minuti dopo, ed accese la luce, probabilmente non impazzì, ma di sicuro non raccontò ad altri ciò che aveva visto, eccettuato Malone, col quale ebbe uno scambio di lettere a Chepachet.
Si trattava di omicidio – strangolamento, per l’esattezza – ma è superfluo specificare che il segno dell’artiglio che aveva soffocato la signora Suydam non poteva essere del marito, o meglio,  non poteva appartenere ad una mano umana, e sul muro bianco era comparsa per pochi secondi una spaventosa scritta rossa, in carattere caldei: LILITH.
Il dottore la vide per un attimo, e la trascrisse a memoria.
Quest’ultimo particolare, tuttavia, non ebbe alcuna rilevanza, visto che scomparve subito.
Quanto a Suydam, si tentò di allontanare i curiosi dalla cabina finché non si fosse trovata una spiegazione plausibile del fatto.
A Malone il medico non disse di aver visto la cosa; dichiarò, invece, di aver notato uno strano chiarore fosforescente, prima di accendere la luce, sopra l’oblò aperto della cabina.
Per un istante, aveva avuto l’impressione di udire nella notte delle risa diaboliche, ma non aveva visto nessuno in carne ed ossa.
A riprova delle proprie dichiarazioni, sottolineò la sua indiscutibile sanità mentale.
Intanto, il vapore sconosciuto aveva attirato l’attenzione generale.
Se ne era staccata una scialuppa, ed una frotta di uomini sudici ed arroganti, vestiti come ufficiali, erano sciamati a bordo della nave che, nel contempo, aveva spento i motori.
Chiedevano  di Suydam o della sua salma.
Erano venuti a conoscenza della sua partenza e, per qualche arcano motivo, avevano immaginato che sarebbe morto.
Sul ponte di comando si era scatenato un putiferio: tra il racconto del medico e le domande pressanti della ciurmaglia del vapore, neppure il lupo di mare dotato di maggior buon senso avrebbe saputo cosa fare.
Poi, tutto d’un tratto, il capo di quella ciurmaglia, un arabo con un’orribile bocca negroide, prese dalla tasca un foglio sudicio e lo tese al capitano.
Il foglio recava la firma di Robert Suydam, e conteneva il seguente messaggio misterioso: Se dovesse capitarmi un incidente improvviso, o se dovessi morire, vi prego di consegnare il mio corpo senza fare domande al latore della presente ed ai suoi.
Per me, ma forse anche per voi, dipenderà tutto dal vostro assenso.
Avrete chiarimenti successivamente: per adesso non mi tradite.
Robert Suydam Il capitano ed il medico di bordo si lanciarono uno sguardo d’intesa, ed il dottore bisbigliò qualcosa all’ufficiale.
Alla fine rispettarono la richiesta, nonostante fossero molto perplessi, e guidarono gli stranieri alla cabina di Suydam.
Mentre quei bizzarri marinai entravano dentro, il medico consigliò al comandante di voltare la faccia, e si sentì sollevato solamente quando se ne furono andati tutti, al termine di lunghi preparativi, con il loro fagotto.
La salma venne avvolta nei lenzuoli della cuccetta, ed il dottore si rallegrò che non fosse visibile; gli uomini la calarono giù dalla murata e la portarono sul loro vapore lasciandola ben coperta.
Il Cunarder riattivò i motori, ed il medico e il suo assistente tornarono nella cabina nel caso ci fosse qualche cos’altro da fare.
E il dottore si vide costretto a tacere di nuovo, perché ciò che era accaduto aveva del mostruoso.
Quando il suo aiutante gli domandò perché aveva tolto tutto il sangue al corpo della signora Suydam, lui non negò di averlo fatto, e non disse neanche nulla a proposito della sparizione dei flaconi che avrebbero dovuto trovarsi sugli scaffali, o a proposito dell’odore che veniva dal lavandino a riprova del fatto che il loro contenuto originario era stato svuotato velocemente lì dentro.
Le tasche di quegli uomini – se si potevano considerare tali – erano stranamente gonfie, quando avevano lasciato la nave.
Due ore dopo, la radio comunicò al mondo tutto ciò che si poteva sapere su quel fatto orrendo.
6.
Nella medesima sera di giugno, Malone, all’oscuro della faccenda  del transatlantico, gironzolava senza meta per i vicoli di Red Hook, in preda ad un inspiegabile senso di soffocamento.
Nel quartiere covava un’evidente eccitazione.
Come se un telegrafo senza fili avesse comunicato loro che era successa una cosa eccezionale, gli abitanti del posto si erano radunati in attesa sia davanti alla chiesa divenuta sala da ballo, sia davanti agli scantinati di Parker Place affittati da Suydam.
Si erano verificate da poco nuove scomparse di bambini – tre bambini norvegesi dagli occhi azzurri che abitavano sulla strada per Gowanus – e a quanto pareva s’era radunata una folla di possenti “vichinghi” del quartiere in atteggiamento minaccioso.
Erano settimane che Malone premeva i colleghi affinché dessero una bella ripulita a quel posto e questi, alla fine, persuasi da fatti molto più solidi delle semplici supposizioni di un detective visionario irlandese, si prepararono ad un’azione di forza.
A farli muovere erano state l’agitazione ed un vaga minaccia che incombevano quella notte nel quartiere, cosicché, verso mezzanotte, una squadra d’assalto formata da uomini provenienti da ben tre distretti di polizia, arrivò in Parker Place sparpagliandosi anche nei dintorni.
Sfondarono le porte ed arrestarono i vagabondi, e fuori dalle case illuminate con le candele si riversarono inimmaginabili orde di stranieri di ogni razza, in lunghe tuniche ricamate,  mitrie e altri costumi mai visti.
Nella confusione uscì fuori anche una miriade di stranissimi oggetti.
Gran parte di questi, purtroppo, venne smarrita in quanto vennero gettati in tutta fretta in fumaioli dei quali si ignorava l’esistenza.
L’incenso bruciato copriva, invece, gli odori che avrebbero potuto rivelare qualche oscura pratica.
Tuttavia, si trovarono schizzi di sangue ovunque, e Malone rabbrividì nel vedere un tripode, probabilmente un altare, che emanava ancora del fumo.
Avrebbe desiderato avere il dono dell’ubiquità, ma quando gli dissero che la sala da ballo era vuota, decise per il seminterrato  di Suydam.
Nell’appartamento – rifletté – doveva essere rimasta qualche traccia del culto cui si era messo di certo a capo lo studioso di esoterismo.
Allora si precipitò con ansia in quelle stanze muffite, dove si sentiva un odore di tomba, e trovò dei volumi curiosi, degli oggetti insoliti, dei lingotti d’oro e bottiglie con il tappo di vetro sparse alla rinfusa dovunque.
D’un tratto, gli passò tra i piedi un magro gatto bianco e nero, rovesciando un calice che conteneva ancora del liquido rosso.
Malone rimase terrorizzato, e si interroga tutt’oggi sulla realtà dell’avvenimento, ma in sogno gli appare in continuazione quel gatto che fugge, che cambia forma orribilmente, e sembra  dotato di strane facoltà.
Alla fine arrivò davanti alla cantina: vedendo che l’uscio era chiuso, cercò qualcosa per forzare la serratura.
Notò un pesante sgabello: con quello il legno fradicio della porta avrebbe immediatamente ceduto.
Infatti spaccò subito un pannello, e poi allargò il buco; in pochi secondi cedette tutta la porta, crollando, però, come spinta dalla parte opposta.
In quella si levò una folata travolgente d’aria fredda, trascinando con sé tutti gli orrori di quell’abisso senza fondo, dal quale si sprigionò una potenza risucchiante che non poteva appartenere né al cielo né alla terra.
Avvinghiandosi intorno al corpo dell’impietrito detective come una specie di ventosa senziente, lo attirò sull’orlo della voragine e lo portò nell’abisso giù con lei, facendolo  cadere attraverso spazi immensi che risuonavano di gemiti,  bisbigli e risate diaboliche.
Lui sapeva che non era stato un sogno, come volevano fargli credere i dottori, solo che non poteva dimostrarlo.
Se lo fosse stato – e quanto lo avrebbe preferito – la vista di caseggiati decrepiti e di truci facce straniere non gli avrebbe straziato l’anima.
Ciò che gli successe, invece, gli parve orrendamente vero, e nulla potrà mai cancellare dalla sua mente la visione di quelle cripte oscure, di quei colonnati ciclopici, e di quelle forme titaniche rigurgitate dagli abissi che venivano avanti a passi lenti, silenziose, afferrando creature mutilate, divorate a metà, le cui parti ancora vive imploravano pietà, o che ridevano isteriche dalla pazzia.
Incenso e putridume si confondevano in un miscuglio di odori pestilenziali, e il buio si gonfiava di forme nebulose, appena visibili,  di esseri primordiali, senza concretezza alcuna ma dotati di occhi.
Un’acqua torbida ed oleosa, della quale non si capiva la provenienza, sciabordava su moli d’onice, ed i rintocchi spaventosi di campane stonate salutarono l’avvicinarsi di una creatura nuda dalla pelle fosforescente, che sogghignava e veniva a nuoto verso riva, quindi si arrampicava, ed infine si accovacciava su un piedistallo d’oro visibile sullo sfondo.
Strade di un’oscurità perpetua si stendevano in tutte le direzioni: in quel luogo fermentava un contagio che avrebbe ammorbato ed inghiottito tutte le città, appestando le nazioni intere col lezzo pestilenziale di un morbo ignoto.
I peccati dell’intero universo si erano concentrati lì e, al pulsare di crescenti ritmi blasfemi, era iniziata la danza macabra della morte che avrebbe corrotto tutti gli uomini, fino a degradarli a fungosità giganti, troppo mostruose persino per essere accolte nei sepolcri.
Era lì che Satana apriva la sua corte babelica, e che gli arti lebbrosi della fosforescente Lilith venivano aspersi col sangue di fanciulli innocenti.
Incubi e Succubi innalzavano le loro lodi ad Ecate, e mostri privi di testa rivolgevano le loro invocazioni alla Grande Madre.
Capri danzavano ad un ritmo infernale di flauti, e neri avvoltoi andavano a caccia di fauni deformi, somiglianti a rospi dal ventre gonfio, braccandoli senza sosta sui dirupi scoscesi.
Neppure Moloch ed Astaroth mancavano, poiché non esistevano  più i legami con la coscienza nell’essenza stessa della dannazione, e l’immaginazione umana poteva sbizzarirsi in spettacoli di vario orrore ed aprirsi su dimensioni proibite plasmate dal potere del Male.
Il mondo e la natura non potevano respingere quegli attacchi giunti dagli abissi notturni che si erano spalancati, e nessun ordine, nessuna preghiera poteva arrestare quelle oscene orge da Notte di Valpurga, alle quali era stato un sapiente in possesso della nefanda chiave a dare inizio, quando aveva trovato la setta in possesso dello Scrigno di tutte le conoscenze appartenuto ai demoni.
Inaspettatamente, un raggio di luce rischiarò quel posto spettrale, e Malone udì un battito di remi risuonare in quel covo di creature infernali che avrebbero dovuto essere morte e sepolte.
Qualche minuto dopo, giunse una barca con una lanterna a prua; non appena fu in vista, si ormeggiò ad un anello di ferro della sporca banchina, rovesciando a riva numerosi uomini dalla pelle scura che trasportavano un lungo fagotto in un lenzuolo.
Poi lo adagiarono davanti all’essere nudo e fosforescente accucciato  sul trono d’oro, e la creatura rise, sfiorando il lenzuolo con una zampa.
Allora gli uomini rimossero il lenzuolo e posarono sullo scanno il corpo di un vecchio corpulento dalla barba sfatta ed i capelli spettinati.
La creatura fosforescente ridacchiò di nuovo, e gli uomini che erano venuti avanti, versarono sulle sue zampe il contenuto delle bottiglie che portavano nelle tasche; quelli che erano rimasti indietro, gli porsero invece le loro bottiglie perché ne bevesse.
D’un tratto, da una di quelle strade senza fine, provenne il suono maledetto e sibillante di un organo, che fece cessare le risate diaboliche con le sue note basse, gracchianti e lugubri.
In pochi attimi, tutti gli esseri formicolanti si elettrizzarono, si unirono fulmineamente in corteo, e sciamarono come un incubo verso la fonte del suono – era una processione di demoni, satiri, incubi, succubi e lemuri, rospi ripugnanti ed informi elementali, esseri ululanti dalla faccia canina e silenziosi abitatori della notte – seguendo quell’abominazione nuda e fosforescente precedentemente seduta sul suo scanno d’oro, che adesso avanzava solennemente portando tra le braccia la salma dallo sguardo vitreo del vecchio.
Gli ibridi meticci danzavano, mentre il corteo si agitava ed eccitava nella frenesia di un rapimento estatico.
Malone, che era lì vicino, osservava come paralizzato, sconvolto e allucinato, insicuro della propria realtà sia in quello che in un altro mondo.
Alla fine girò le spalle, vacillò e cadde come un sacco sulla fredda pietra; arrancò tremando, mentre quell’organo maledetto seguitava a gracchiare e le urla ed i battiti di tamburo di quell’assurdo corteo si allontanavano progressivamente.
Era cosciente solo parzialmente delle mostruosità salmodianti e degli odiosi gracidii che udiva in lontananza.
A tratti, riecheggiando nelle arcate tenebrose, gli giungeva alle orecchie un gemito o un lamento di quel delirio collettivo, scatenato dall’orrenda litania in lingua greca da lui letta nella sala da ballo, che veniva recitata in quel momento: O compagna e amante della notte, tu che gioisci quando ululano i cani (qui un ululato spaventoso) ed il caldo sangue è versato (grida morbose, gorgoglii indescrivibili), tu che vaghi con i fantasmi fra i sepolcri (un sussurro,  forse un sibilo), che hai sete di sangue e trafiggi con gelido terrore il  cuore di mortali (grida acutissime da cento gole), Gorgo (ripetuto in  risposta), Mormo (ripetuto in estasi), luna dai mille volti (gemiti e  suono di flauti), volgi propizio il tuo occhio sul nostro sacrificio! Al termine del salmo, si levò un urlo collettivo, ed i sibili delle creature sovrastarono le note basse e gracchianti dell’organo.
Seguì un rantolare affannoso che pareva uscire da mille gole, insieme ad una babele di parole lamentose somiglianti a latrati: “Lilith, grande Lilith, ecco il tuo Sposo!”.
Altri ululati, frastuono, e poi i passi cadenzati e svelti di qualcuno che correva.
Passi che si avvicinavano, e Malone si alzò sui gomiti per vedere.
La gigantesca catacomba, che prima era molto buia, venne illuminata da un chiarore, ed in quella luce infernale apparve un essere vacillante che in verità non avrebbe dovuto vacillare, né tantomeno sentire e respirare… era il cadavere dallo sguardo vitreo, livido e corpulento, del vecchio, perché qualche incantesimo  diabolico, realizzato mediante il rito appena celebrato, lo aveva rianimato.
Gli veniva dietro ridendo l’essere nudo  fosforescente che precedentemente sedeva sullo scanno e, ad una certa distanza, seguivano anch’essi di corsa, i meticci e tutta quella massa di orrende abominazioni.
Il morto guadagnava terreno sui suoi inseguitori, e pareva protendersi verso una mèta specifica, perché si stava flettendo con tutti i muscoli del suo corpo in decomposizione verso quello scranno d’oro, che doveva avere certamente una grande importanza esoterica.
Il cadavere raggiunse in poco tempo la mèta, ed intanto la massa urlante cercava freneticamente di fermarlo.
Ma ormai era troppo tardi: con un estremo sforzo che gli lacerò tutti i tendini e che provocò la fuoriuscita della gelatina putrescente  di cui era fatto, il cadavere dallo sguardo vitreo, che un tempo  era Robert Suydam, raggiunse il proprio obiettivo e la vittoria.
Lo scatto che aveva compiuto aveva richiesto una forza terribile, però era servito allo scopo: mentre il cadavere si scioglieva in una chiazza molliccia di putridume, lo scanno che ne aveva subito la spinta si mosse e vacillò, staccandosi alla fine dal suo piedistallo d’onice e precipitando nelle torbide acque sottostanti.
Prima di essere ingoiato dagli insondabili abissi del  Tartaro, il suo oro luccicò per un’ultima volta.
Ed in quell’istante, davanti agli occhi increduli di Malone, l’intero teatro degli orrori scomparve nel nulla, e lui svenne, mentre uno schianto seguito da un boato spazzava via quell’intero  universo del male.
7.
Il sogno che Malone aveva fatto prima di venir informato della morte di Suydam e del trafugamento della sua salma, fu accompagnato da altre circostanze misteriose, anche se nessuno è tenuto a credervi.
I tre appartamenti di Parker Place, già da tempo in disfacimento, si schiantarono al suolo senza causa apparente, mentre al loro interno c’erano ancora molti poliziotti che avevano preso parte all’azione e diverse persone arrestate: morirono tutti sul colpo.
Solo chi si trovava in cantina e a pianterreno, riuscì a salvarsi.
Malone fu fortunato a trovarsi nel sotterraneo del seminterrato di Suydam.
Che fosse davvero lì, non può negarlo nessuno.
Fu ritrovato privo di sensi sul bordo di uno stagno nero come la pece, vicino ad un mucchietto ributtante di ossa e di carne in putrefazione, nel quale fu riconosciuto successivamente, grazie all’esame della dentatura, il corpo di Robert Suydam.
Il caso era risolto; lo stagno era senza alcun dubbio il canale nascosto utilizzato dai trafficanti di meticci, e la stessa strada seguita dagli uomini che avevano in custodia il cadavere di Suydam per riportarlo a casa.
Questi non vennero mai identificati,  e ancor meno ritrovati.
Il medico di bordo, tuttavia, non è perfettamente convinto delle semplici spiegazioni date dalla polizia.
Era chiaro che Suydam doveva essere a capo di una potente organizzazione di immigrazione clandestina, dal momento che il canale che arrivava a casa sua era solo uno dei tanti che furono scoperti nei dintorni.
Sotto la sala da ballo, si trovava un cunicolo che portava dalla sua abitazione alla cripta della chiesa, alla quale si poteva accedere unicamente passando per un piccolo passaggio segreto posto nella parete nord, e nelle cui camere furono  rinvenuti alcuni oggetti insoliti e spaventosi.
Vi trovarono l’organo gracidante, una cappella con inginocchiatoi di legno, ed un altare con delle misteriose scritte.
I muri della cripta comunicavano con delle piccolissime nicchie, in diciassette delle quali – è arduo raccontarlo – c’erano dei prigionieri incatenati e ormai preda della follia, dei quali quattro erano madri con i loro bambini, dall’aspetto spaventoso e deforme.
I bimbi morirono non appena furono portati all’aperto, un fatto che in verità fu una fortuna, per loro, a sentire i medici.
Tra coloro che li esaminarono, nessuno si ricordò della  conturbante domanda posta dal vecchio Delrio: An sint unquam daemones incubi et succubae, et an ex tali congressu proles enascia queat?.
(8) Prima di coprirli, i canali furono attentamente dragati, e venne fuori un numero pazzesco di ossa rotte e segate di ogni dimensione.
Vennero così spiegati i rapimenti dei fanciulli, anche se fu possibile incriminare soltanto due persone.
Lo scanno d’oro di cui Malone aveva parlato più volte non fu mai ritrovato, sebbene uno dei canali dell’appartamento di Suydam fosse così profondo da non consentire il dragaggio.
Quando avevano costruito le cantine dei nuovi appartamenti, era stato ostruito all’entrata e quindi cementato, ma Malone si chiedeva di frequente che cosa giacesse mai là sotto.
La polizia, contenta di aver messo le mani su una pericolosa banda di trafficanti di meticci, affidò gli adepti curdi della setta Yezidi degli adoratori del demonio ai federali, visto che non fu possibile accusarli formalmente di nulla.
Il vapore e la sua ciurmaglia restarono un mistero, nonostante la vigilanza continua degli impavidi investigatori che combattono incessantemente il contrabbando di alcoolici e  l’immigrazione clandestina.
Secondo Malone, questi investigatori sono troppo pochi, oltre a non essere sufficientemente motivati a fare luce su numerosi dettagli di quella vicenda poco chiara.
Inoltre è prevenuto verso i giornali, poiché misero in risalto solamente il lato morboso della faccenda e dichiararono che ci si trovava di fronte ad un piccolo gruppo di sadici, anziché ammettere che si trattava di un male che minava il cuore stesso dell’universo.
In tutti i modi, è ben felice di starsene isolato a Chepachet a curare i nervi, e spera che il tempo releghi nel limbo mitico e pittoresco dei sogni remoti la sua tremenda esperienza.
Robert Suydam è seppellito vicino alla moglie nel cimitero di Greenwood.
Nessun funerale fu celebrato per le sue ossa venute così stranamente alla luce, ed i parenti si rallegrano della rapidità con la quale l’intera vicenda venne dimenticata.
I rapporti tra lo studioso ed i fatti spaventosi di Red Hook non vennero mai accertati con sicurezza, poiché la sua morte pose fine all’inchiesta che altrimenti lo avrebbe coinvolto.
La vera causa del suo decesso è rimasta nel vago, ed i Suydam preferiscono pensare a lui come ad un eccentrico, dall’animo sensibile, che si interessava bonariamente di magia e di folklore.
Quanto a Red Hook, non è affatto cambiato.
Suydam vi arrivò  e se ne andò, ed un morbo malvagio vi nacque e si spense: ma il tenebroso spirito della notte si aggira ancora tra i meticci che abitano in quei decrepiti fabbricati di mattoni e tra le bande criminali.
Quando passa per caso un visitatore, vengono ancora chiuse le tende delle finestre, dietro le quali appaiono fugacemente  volti torvi e brillano strane luci.
L’orrore primordiale è un’Idra dalle cento teste, e i culti delle tenebre affondano le loro radici in abissi più profondi del pozzo di Democrito.
Lo spirito della Bestia è imperituro e vittorioso, e le processioni di Red Hook – quei giovani dagli occhi velati e dalla faccia rovinata – seguitano a salmodiare, a peccare e a gridare, mentre sprofondano di abisso in abisso, verso una meta ignota, spinte da cieche leggi genetiche che non saprebbero neppure comprendere.
Sono più quelli che arrivano, di quelli che lasciano Red Hook via terra, e già si riodono voci echeggiare in nuovi canali sotterranei che finiscono in certi nascondigli in cui si fa contrabbando di liquori e di altre cose irripetibili.
La chiesa è stata adibita a sala da ballo permanente, ed alle sue finestre, di notte, appaiono  loschi figuri.
Ultimamente un poliziotto ha affermato con sicurezza che la cripta è stata riaperta per scopi molto poco chiari.
Ma come si fa a lottare contro morbi più antichi della storia dell’uomo? Le scimmie, in Asia, danzavano dinanzi a quegli orrori, e tra i muri di mattoni sconnessi, dove si celano ombre furtive, il cancro attecchisce e si propaga tranquillo.
Se Malone ha addosso i brividi, ne ha ben ragione: proprio l’altro giorno, difatti, un poliziotto ha udito per caso una meticcia  dagli occhi a mandorla insegnare ad un bambino certe parole in  dialetto bisbigliate all’ombra di un cortile.
Tendendo meglio  l’orecchio, gli è parso piuttosto strano che la vecchia le ripetesse  fino alla nausea: O compagna e amante della notte, tu che gioisci quando ululano i cani ed il caldo sangue è versato, tu che vaghi con i fantasmi fra i sepolcri, che  hai sete di sangue e trafiggi con gelido terrore il cuore dei mortali,  Gorgo, Mormo, luna dai mille volti, volgi propizio il tuo occhio sul  nostro sacrificio!