mercoledì 9 ottobre 2013

Diamanti Glaciali



Oceani di diamanti liquidi, con iceberg di diamante solido, potrebbero essere presenti su Nettuno e Urano, secondo un recente articolo pubblicato sulla rivista Nature Physics.
La ricerca si basa sulle misurazioni del punto di fusione del diamante: il diamante è un materiale relativamente comune sulla Terra, ma il suo punto di fusione non è mai stata misurato. Il diamante è un materiale estremamente rigido, cosa che lo rende difficile da sciogliere, ma ha un'altra qualità che rende ancora più complicato misurare il suo punto di fusione: quando il diamante è riscaldato a temperature estreme si modifica fisicamente, cambiando da diamante a grafite. La grafite, e non il diamante, poi si scioglie in un liquido.
La distanza tra la Terra e Nettuno rende inoltre difficile lo studio, lasciando gli scienziati con molte domande senza risposta su questo gigante di gas gelido.
In ogni caso, un oceano di diamanti potrebbe contribuire a spiegare l'orientamento di Urano e del campo magnetico di Nettuno.
L'idea che ci siano oceani di diamante liquido su Nettuno e Urano non è un'idea nuova, ha detto Tom Duffy, scienziato della Princeton University. L’articolo di Nature Physics sembra dunque “più e più plausibile", ha affermato Duffy.
Prima che possa essere fatta una conclusione definitiva sull’argomento, sono necessarie maggiori ricerche sulla composizione di Nettuno e Urano (per il momento si stima che siano al 10% almeno a base di carbonio), anche se questo tipo di ricerca è molto difficile da condurre.
Gli scienziati possono inviare sonde o tentare di simulare le condizioni sulla Terra. Entrambe le opzioni richiedono anni di preparazione, attrezzature costose, e sono soggette alle condizioni di due degli ambienti più difficili nell'universo

"L'UNIVERSO, GLI DEI, GLI UOMINI"

Oggi ho comprato un saggio di un autore francese di nome Jean-Pierre Vernant e ve lo vorrei consigliare.
Il saggio in questione si titola "L'universo, gli dèi, gli uomini" e tratta dei miti giunsi fino a noi dai Greci come un universo di frammenti, personaggi, storie e illuminazioni.


lunedì 7 ottobre 2013

PROMETEO-GOETHE


"PROMETEO"





Copri il tuo cielo, Giove,
col vapor delle nubi!
E la tua forza esercita,
come il fanciullo che svetta i cardi,
sulle querce e sui monti! 
Ché nulla puoi tu
contro la mia terra,
contro questa capanna,
che non costruisti,
contro il mio focolare,
per la cui fiamma tu 
mi porti invidia.

Io non conosco al mondo
nulla di più meschino di voi, o dèi.
Miseramente nutrite
d'oboli e preci
la vostra maestà 
ed a stento vivreste,
se bimbi e mendichi 
non fossero pieni 
di stolta speranza.

Quando ero fanciullo
e mi sentivo perduto,
volgevo al sole gli occhi smarriti,
quasi vi fosse lassù
un orecchio che udisse il mio pianto,
un cuore come il mio
che avesse pietà dell'oppresso

Chi mi aiutò
contro la tracotanza dei Titani?
Chi mi salvò da morte, 
da schiavitù?
Non hai tutto compiuto tu,
sacro ardente cuore?
E giovane e buono, ingannato, 
il tuo fervore di gratitudine 
rivolgevi a colui 
che dormiva lassù?

Io renderti onore? E perché?
Hai mai lenito i dolori di me ch'ero afflitto? 
Hai mai calmato le lacrime 
di me ch'ero in angoscia?

Non mi fecero uomo
il tempo onnipotente 
e l'eterno destino,
i miei e i tuoi padroni?

Credevi tu forse
che avrei odiato la vita, 
che sarei fuggito nei deserti 
perché non tutti i sogni 
fiorirono della mia infanzia?

Io sto qui e creo uomini
a mia immagine e somiglianza, 
una stirpe simile a me,
fatta per soffrire e per piangere,
per godere e gioire 
e non curarsi di te, 
come me.

domenica 6 ottobre 2013

U2 - BAD

Quella voce degli anni '80, è stata la migliore voce del nostro tempo; Bono Vox in quel tempo era La Voce.



venerdì 4 ottobre 2013

LA STELLA - Arthur C. Clarke

Come promesso, ecco a voi un altro racconto del mitico Clarke. In una parola sola: sublime.


LA STELLA
di Arthur C.Clarke

Siamo a tremila anni luce dal Vaticano, qui. Una volta  credevo che lo spazio non potesse nulla contro la fede, come anche credevo che i cieli proclamassero la gloria dell’opera del Signore. Ora ho visto quest’opera, e la mia fede è orrendamente scossa. Guardo il crocifisso appeso nella mia cabina sopra il Computer Mark VI, e per la prima volta nella vita mi chiedo...Non l’ho ancora detto a nessuno. Ma la verità non si può nascondere. E del resto i fatti sono qui, a disposizione di tutti, registrati nei chilometri e chilometri di nastro magnetico e nelle migliaia di fotografie che stiamo riportando sulla Terra. Per gli altri scienziati non sarà più difficile, interpretarli, di quanto sia stato per me; né io, da parte mia, sarei disposto ad alcuno di quei compromessi con la verità che hanno gettato, in passato, qualche ombra sulla reputazione del mio Ordine. L’equipaggio è già abbastanza depresso. Mi chiedo come accoglierà quest’ultima ironia. Pochi di loro hanno la minima fede religiosa; e tuttavia non si rallegreranno,ne sono sicuro, di potere usare quest’arma finale nella loro polemica con me, una polemica bonaria, cominciata fin dalla nostra partenza dalla Terra. Erano più divertiti che seccati di avere un gesuita come astrofisico di bordo; e tuttavia il dottor Chandler,per esempio (ho notato che gli atei più accaniti s’incontrano spesso tra i medici), non poteva trattenersi dal ritornare continuamente sull’argomento. Spesso lo incontravo sul ponte di osservazione, dove le luci sono sempre abbassate e non attenuano lo splendore degli astri. Si fermava accanto a me, nella semi oscurità, e guardava fuori dai grandi oblò i mondi che ci giravano silenziosamente intorno, mentre la nave avanzava ruotando un poco su se stessa per un residuo di spin che non ci eravamo dati la pena di correggere.


Continua a girare — diceva alla fine, accennando all’universo di là dal cristallo— continuerà sempre, e forse Qualcosa l’ha fatto. Ma come possa lei credere che questo Qualcosa si occupi minimamente di noi e del nostro misero, piccolo mondo,questa è una cosa che non riesco assolutamente a capire.Cominciava sempre così, o pressappoco così, e poi s’andava avanti a discutere,mentre le stelle e le nebula e della Galassia continuavano il loro giro silenzioso.Quanto ai tecnici dell’equipaggio, quello che li divertiva era l’apparente incongruità della mia posizione. Invano avevo accennato, con tutta la modestia possibile, ai miei lavori e alle mie pubblicazioni nel campo dell’astrofisica. Invano avevo ricordato loro che per secoli il mio Ordine s’era illustrato con le sue ricerche scientifiche. Perché oggi siamo rimasti in pochi, è vero, ma i contributi che fin dal XVIII secolo abbiamo dato alla fisica e all’astronomia, restano tra i piu ragguardevoli. Potrà, ora,la mia relazione sulla nebula Phoenix mettere fine ai nostri mille anni di storia? Potrà, temo, mettere fine a molto più di questo.Non so chi abbia dato a questa nebula il suo nome, che  mi sembra scelto assai male. Se contiene una profezia, è una profezia che potrà essere controllata solo tra miliardi di anni. Lo stesso termine,nebula,in questo caso, non è molto adatto:l’oggetto in questione è molto più ridotto di quegli stupendi ammassi di nebbie (la materia prima delle stelle che nasceranno) sparse in tutta la Via Lattea. Su scala cosmica, in verità, la nebula Phoenix è una piccolissima cosa: un tenue involucro di gas, intorno a un’unica stella.O meglio: intorno a quanto è rimasto, d’una stella.Il ritratto del nostro santo fondatore, Ignazio di Loyola, sembra guardarmi con ironia dalla parete di fronte, sopra lo scaffale delle lastre spettrografiche. Che cosa ne avrebbe fatto, lui, di questi dati che sono venuti in nostro possesso quaggiù, così lontano dal piccolo mondo che era per lui tutto l’universo? La sua fede avrebbe resistito meglio della mia, a questa sfida?Il suo sguardo mi sfiora e sembra perdersi in lontananza. Ma io ho viaggiato in lontananze più grandi di quelle che lui potesse neppure immaginare, mille anni fa,quando fondò l’Ordine. E anche oggi, nessuna nave da ricognizione s’era mai spintacosì lontano dalla Terra: stiamo tornando dalle ultime frontiere dell’universo esplorato. Eravamo partiti per raggiungere la nebula Phoenix, l’abbiamo raggiunta, e ne torniamo col nostro fardello di conoscenze. Ah, se il santo personaggio che miguarda dalla parete potesse liberarmi da questo fardello!Ma inutilmente invocherei il suo nome, attraverso tutti i secoli e gli anni luce che mi separano da lui. Nel libro che tiene tra le mani, si legge:AD MAIOREM DEI GLORIAM. Che cosa penserebbe, ora, di queste parole? Potrebbe ripeterle, sapendo ciò che ho visto io?
Noi sapevamo già, naturalmente, che cosa fosse la nebula Phoenix. Ogni anno,nella nostra sola Galassia, esplodono un centinaio di stelle, brillando per qualche ora o per qualche giorno con un’intensità migliaia di volte superiore alla normale, prima di piombare in un’oscura morte. Queste sono le nova e ordinarie, disastri abituali nell’universo, e io stesso ne ho studiate a dozzine, raccogliendo gli spettrogrammi e le curve di luce, da quando lavoro all’osservatorio lunare.Ma, tre o quattro volte ogni mille anni, accade qualcosa di fronte a cui perfino una nova impallidisce, fino ad apparire totalmente insignificante.Quando una stella diventa una supernova,la sua luce può aumentare fino a raggiungere, in poche ore, quella di tutti gli altri soli della Galassia messi insieme. Gli astronomi cinesi ne osservarono una, senza capire che cosa fosse, nel 1054 d.C.,e cinque secoli dopo, nel 1572 una supernova brillò così intensamente nella costellazione di Cassiopea da restare visibile in pieno giorno. Ce ne sono state altre tre, nei mille anni che sono passati da allora.
La nostra spedizione aveva lo scopo di visitare i resti di quell’immane catastrofe,di ricostruire gli eventi che l’avevano preceduta e, se possibile, di scoprirne la causa.Ci avvicinammo lentamente, attraverso strati concentrici di gas esplosi sei mila anni fa, e che ancora continuavano a espandersi. Erano gas immensamente caldi,ancora radianti di un’intensa luce violetta, ma troppo rarefatti per nuocerci. Quando la stella era esplosa, i suoi strati esterni erano partiti a una tale velocità da sfuggire completamente al suo campo gravitazionale. Ora formavano come un immenso involucro vuoto, grande abbastanza da contenere un migliaio di sistemi solari, e al cui centro brillava quel minuscolo, fantastico oggetto che la stella era diventata: una nana bianca,più piccola della Terra,e tuttavia un milione di volte più pesante.Gli strati luminosi di gas ci circondavano da ogni parte, sopprimendo la normale oscurità degli spazi interstellari. Volavamo verso il centro d’una bomba cosmica scoppiata migliaia di anni prima, e le cui ondate di frammenti incandescenti stavano ancora allargandosi. L’immensa scala dell’esplosione, e il fatto che i suoi residui già coprissero un raggio di miliardi di chilometri, facevano sì che la scena sembrasse immobile. Ci sarebbero voluti decenni per poter distinguere, senza strumenti, il minimo movimento in quelle tormentate volute e turbini di gas. Tuttavia, il senso dell’esplosione era acutissimo.Avevamo ridotto la velocità parecchie ore prima, e adesso andavamo lentamente accostando verso la piccola stella che brillava al centro di quell’inferno. Una volta era stata un sole come il nostro; ma aveva dissipato in poche ore tanta energia, quanta gliene sarebbe bastata per un milione di anni. Ora, rattrappita e scempia, andava economizzando le sue ultime risorse come per fare ammenda della passata prodigalità.
Nessuno s’aspettava di trovare pianeti. Se una volta ce n’erano stati, l’esplosione doveva averli fusi, trasformati in gas, travolti in una sola, colossale rovina. Tuttavia procedemmo alla solita ricerca per mezzo degli strumenti, come sempre facciamo avvicinandoci a un sole nuovo; ed ecco, trovammo un unico, piccolo pianeta che continuava regolarmente il suo giro, a un’immensa distanza dalla stella. Doveva essere stato il Plutone di quello scomparso sistema solare, in orbita alle frontiere della notte. Troppo lontano dal sole centrale per aver mai conosciuto alcuna forma di vita,la sua stessa lontananza l’aveva salvato dalla catastrofe che aveva distrutto i pianeti suoi compagni.Il divampare del cosmico incendio aveva fuso la superficie delle sue rocce, e bruciato via la coltre di gas raggelati che aveva dovuto coprirlo fino al giorno del disastro. Ci accostammo, atterrammo, e trovammo la cripta. I suoi costruttori avevano fatto in modo che la trovassimo subito. L’enorme pilone che segnava il suo ingresso era ridotto a un mozzicone vetrificato, ma già dalle prime fotografie, prese a grande distanza, avevamo potuto riconoscerlo per quello che era: un segnale lasciato lì da qualcuno. Poco più tardi scoprimmo, stampato nella roccia, un tracciato radioattivo che da tutti gli angoli del pianeta convergeva verso quello stesso punto. Se anche il pilone sulla cripta fosse andato distrutto, quest’altro segnale sarebbe rimasto: come una torcia inestinguibile, che avrebbe continuato nei secoli dei secoli a trasmettere il suo messaggio alle stelle. La nostra nave scese verso quel faro,come una freccia contro il suo bersaglio.
Il pilone doveva aver misurato circa un chilometro e mezzo d’altezza, quando era stato costruito, ma ora appariva come una candela mezzo consumata, mezzo sepolta dalle smoccolature. Noi eravamo astronomi, non archeologi, e gli strumenti di cui disponevamo non erano i più adatti per scavare nella roccia vetrificata alla base del pilone. Tuttavia, con mezzi di fortuna, ci mettemmo al lavoro. Lo scopo originario della nostra missione era ormai dimenticato: quel monumento solitario, innalzato con tanta pena alla più grande distanza possibile dal sole condannato, poteva significare una sola cosa. Una civiltà che sapeva di dover morire dopo poco, aveva dedicato l’ultima fatica a eternare la propria memoria. In una settimana raggiungemmo l’ingresso della cripta. Ma ci vorranno generazioni per esaminare a fondo i tesori che contiene. I suoi costruttori avevano avuto tutto il tempo di prepararsi, perché il loro sole, evidentemente, aveva cominciato già da molti anni a dare segni premonitori. Ogni cosa che vollero salvare,essi la portarono in quel mondo lontano negli anni che precedettero la catastrofe, sperando che un giorno qualcuno avrebbe scoperto la cripta, e che la memoria della loro specie non si sarebbe cancellata dall’universo. Avremmo saputo far questo, noi, o saremmo caduti in una disperazione così estrema, da disinteressarci del tutto di un futuro che nessuno della nostra specie avrebbe potuto condividere? Se soltanto avessero avuto qualche secolo, forse solo qualche decennio in più!Sapevano già navigare, infatti, tra i pianeti del loro sole; ma non avevano appreso a traversare gli abissi interstellari: e il sistema solare più vicino distava dal loro un centinaio d’anni luce. Tuttavia, anche con astronavi a propulsione transfinita, soltanto pochi di loro sarebbero riusciti a salvarsi. Forse, dunque, è stato meglio così.
Le loro sculture ce li mostrano straordinariamente somiglianti a noi. Ma anche se non lo fossero stati, non potremmo fare a meno di ammirarli e di compiangerli. Hanno lasciato migliaia di registrazioni visive, come pure gli apparecchi per proiettarle ed elaborate istruzioni pittografiche che ci permetteranno di decifrare le loro lingue scritte. Abbiamo già esaminato molte di queste registrazioni, e riportato alla vita, per la prima volta dopo sei mila anni, il calore e la bellezza d’una civiltà che per molti aspetti dev’essere stata superiore alla nostra. Se poi, di se stessi, ci avessero mostrato soltanto il meglio, chi potrà biasimarli per questo? Il loro mondo era straordinariamente amabile, e le loro città costruite con una grazia sconosciuta alla maggior parte delle nostre. Li abbiamo visti lavorare e giocare, abbiamo ascoltato il loro armonioso linguaggio risuonare per noi attraverso i millenni. Una scena è ancora davanti ai miei occhi: quella di un gruppo di bambini, su una spiaggia dalla strana sabbia azzurra, che giocano allo stesso modo dei nostri. Curiosi alberi dai tronchi sottili s’allineano lungo la riva; nell’acqua, tra i bambini che giocano, grandi animali nuotano tranquilli; e all’orizzonte, tra poche nuvole, scende tiepido e benigno il sole che tra poco li tradirà, distruggendo tutta questa felicità innocente.Forse, se non fossimo stati così lontani dalla Terra e così vulnerabili in quella solitudine, non saremmo rimasti tanto profondamente sconvolti. Molti di noi avevano già visto le rovine di antiche civiltà su altri mondi, ma senza commuoversi allo stesso modo. Questa tragedia, qui, era unica. Perché una specie può declinare e morire, come già è avvenuto di tanti popoli sulla Terra; ma essere annientati di colpo, nel pieno fiore d’una civiltà appena costruita, senza lasciare neppure un superstite: come conciliare una cosa simile con la misericordia di Dio?È questa la domanda che mi hanno rivolto i miei compagni di spedizione, e io ho risposto come ho potuto. Forse il nostro fondatore avrebbe saputo rispondere meglio; ma io non trovo nulla, negli Exercitia Spiritualia, che mi aiuti su questo punto. Gli abitanti di quel mondo distrutto non erano malvagi: io non so quali dèi venerassero, e neppure se ne venerassero alcuno; ma ho visto tornare alla fredda luce del loro sole mummificato, attraverso i millenni, i tesori che con devota abnegazione dedicarono alle altre specie, quando seppero che la loro era condannata. Avrebbero potuto insegnarci tanto di più: perché furono distrutti? Io so già quello che i miei compagni potranno rispondere. “L’universo” diranno“non ha piano né scopo, e poiché cento soli ogni anno esplodono nella nostra sola Galassia, in questo stesso momento qualche specie sta morendo nelle profondità dello spazio; e che fosse una specie buona o cattiva, non farà nessuna differenza alla fine. Non c’è infatti giustizia divina, perché non c’è Dio.”
Naturalmente, invece, quello che abbiamo visto non prova nulla del genere. Chiunque così si fa guidare dal sentimento, non dalla logica. Dio non ha bisogno di giustificare le sue azioni di fronte all’uomo. Lui, che ha creato l’universo, può scegliere di distruggerlo quando voglia, e sarebbe da parte nostra presuntuosa arroganza, sarebbe addirittura bestemmia, giudicare ciò che possa o non possa fare. Una simile distruzione totale, dai moventi imperscrutabili, io potrei dunque accettarla, malgrado ogni sgomento di sapere interi popoli, interi mondi, gettati così nella fornace. Ma c’è un punto in cui anche la fede più profonda è destinata a venir meno, e a questo punto, mentre guardo le note e i calcoli che sono sul tavolo di fronte a me, io so ormai d’essere arrivato. Noi non sapevamo di preciso, prima di raggiungere la nebula, quando fosse avvenuta l’esplosione. Ora, in base ai dati astronomici e all’esame delle rocce di quell’unico pianeta rimasto, ho potuto calcolarne la data con esattezza. So ora in che anno la luce di quella colossale conflagrazione raggiunse la Terra. So con quanta intensità brillò una volta, nei nostri cieli, la supernova il cui cadavere stiamo lasciandoci alle spalle. E so come abbia dovuto fiammeggiare bassa verso est prima della levata del sole, in quell’alba orientale. Non possono esserci dubbi. L’antico mistero è ora risolto. Ma di miriadi d’altre stelle, o Signore, avresti potuto servirti. Che cosa t’indusse a gettare nel fuoco quel mondo, perché il simbolo del suo trapasso brillasse su Betlemme?




martedì 1 ottobre 2013

"BEAUTIFUL WAR"-Kings of Leon


Bite your tongue
Don't make a scene Dear
Everybody's been here
At least once before
But we've been here more

Your heartbreak
Rolls down the window
And I've seen it all go
Comeback around
And I've heard the sound

The tip of your tongue
The top of your lung
Is doing my head in
I say love
Don't mean nothing
Unless there's something
Worth fighting for
It's a beautiful war

When I hold
The warmth of your body
There is nobody
That I'd rather hold
Shattered and cold

The tip of your tongue
The top of your lung
Is making me crazy
I say love
Don't mean nothing
Unless there's something
Worth fighting for
It's a beautiful war

I say love
It don't mean nothing
Unless there's something
Worth fighting for
It's a beautiful war
Oh oh
It's a beautiful war
Beautiful war

I say love
I say love
Don't mean nothing
Unless there's something
Worth fighting for

I say love
Don't mean nothing
Unless there's something
Worth fighting for

It's a beautiful war
It's a beautiful war
It's a beautiful war
Beautiful war


NEWS- Interstellar di Cristopher Nolan


Circolano sul web nuove voci riguardo il nuovo lavoro cinematografico di Cristopher Nolan (Memento, Trilogia di Batman, Inception, Insomnia, The Prestige) "Interstellar" interpretata da Matthew McConaughey e da una schiera di attori di tutto rispetto quali, tra i tanti, Michael Caine, Anne Hathaway, Bill Irwin, Wes Bentley, Casey Affleck ed anche il fratello più grande, fresco di mantello, Ben Affleck.

I rumour ci dicono come il film sia in corso di produzione in Islanda e che sul set sia stata riprodotta, in larga scala, un incidente spaziale, con l'aggiunta di alcuni droni, elaborati e costruiti appositamente per la pellicola.
Inoltre nel film pare che vi sia un enorme velivolo chiamato "The Mother Ship" (L'Astronave Madre).

Il film uscirà nelle sale statunitensi il 7 Novembre 2014. Staremo a vedere.

LA FENICE di Clark Smith

La Fenice (The Phoenix)
di Clark Smith



Io, io solo ho visto la Fenice venir meno,
le sue regali ali con la vibrante gloria sottomettersi
in giri cremisi disorientati, oro sbiadito,
sopra i cieli delle sue vecchie conquiste.
Io, io solo ho visto la Fenice costruire
la sua pira con amara mirra ricolma di spezie,
in mezzo all'ardente consumo, e nessuno, tranne me,
ha conosciuto la sua morte e la sua immortalità,
nessuno ha mirato le gialle zanne delle fiamme consumare
il becco variopinto e le celestiali piume,
nessuno ha udito la fatale angoscia del suo pianto
e sentito la feroce disperazione con cui è morta
dimentica della sua rinascita.
Nessun altro ha conosciuto il mistero
delle fiamme divoranti le piume, le ceneri agitate
che producono ancora una volta la fiera cresta dell'uccello
con le sbattenti ali dell'arcobaleno che risorgono
e riprendono il perduto cielo sabeo.